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Una filosofa, un fisico e un uomo di fede a confronto

Giorgia Verzeni - La Redazione


Una filosofa, un fisico e un uomo di fede a confronto sulle grandi questioni della vita.

Mi sono travata spesso incuriosita davanti alle grandi domande della vita. Ho deciso di intervistare tre docenti che stimo profondamente, i prof. Riccardo Carli, Chiara Paganuzzi e Matteo Coatti. Ad ognuno ho sporto domandi inerenti qual è il senso della vita, la vita dopo la morte ed eventuali collegamenti con la religione e le diverse discipline.

 

prof. Riccardo Carli, fisico

Venerdì 14 febbraio, dopo le lezioni scolastiche, il professore Riccardo Carli ed io ci siamo intrattenuti per parlare di alcuni temi come la bellezza nella fisica, il senso della vita e la vita dopo la morte. 


GV: Che cosa c’è di bello nella fisica? 

RC: Secondo me il bello nella fisica è la sensazione di possesso. 

GV: Anche di controllo? 

RC: Il possesso, il controllo non sempre va’ con il possesso. Il possesso è come dire che io capisco come funziona il mondo e di conseguenza lo faccio mio, comprendendolo. Controllarlo è un altro discorso. Controllare significa che non hai più sorprese. A me non interessa avere il controllo anche se capisco che sia allettante e che comunque siamo una specie che tende ad acquisire controllo. A me interessa la sensazione di guardare il cielo a capire come funziona, mi piace ancora di più sapendo cosa sto guardando. 

Una delle altre domande è sul perché siamo qua, uno dei quesiti che ha dato principio a molti correnti di pensiero. 

RC: Andare a cercare il senso della vita secondo me è qualcosa che afferisce a un’altra domanda, uno dovrebbe chiedersi il perché sta cercando il senso della vita, non quale sia il senso in sé. 

GV: Siamo stati catapultati in un mondo senza nessuna motivazione. Dal mio punto di vista nel momento in cui c’è una crescita dell’individuo ad un certo punto ti poni la questione del perché siamo qua.  

RC: La religione la gestisce molto bene: la religione ci regala il libero arbitrio. Io non sono convinto che ci sia. Ma su questo tema mi permetto di essere agnostico, in tutta onestà non ho elementi per decidere se esista o meno. Qualora non ci fosse, all’uomo basta avere una parvenza di esso. Dal mio punto di vista è un falso problema. In questa fase della mia vita non lo sto affrontando, il senso allora cosa diventa? Io mi considero un ospite. Siamo arrivati al punto che la nostra comprensione del mondo ci offre una collocazione quasi impercettibile nello spazio e nel tempo a tutto quello che c’è che a stento si può dire di esserci stati nel mondo. Però ci siamo stati. In conclusione, mi vedo come un ospite, che entra si guarda intorno, fa il suo percorso. Io, per come sono fatto preferisco essere un ospite gradito. Quindi ogni mia scelta è dettata da questa idea.  

L'intervista si conclude con la domanda cruciale che angoscia le povere menti umane  

GV: Cosa c’è dopo la morte? 

RC: A livello fisico tutto lascia una traccia. 

GV: Come l’effetto farfalla? 

RC: Esattamente. Il punto è che tutto lascia una traccia, quindi per forza rimane traccia di te. Hai fatto i tuoi passi nel mondo. 

GV: Quindi siamo in qualche modo insignificanti ma allo stesso tempo lasciamo qualcosa nel mondo? 

RC: Certamente, siamo un tassello di un mosaico che è fatto di miliardi di pezzi, ma se togli un tassello, il mosaico non è più come quello di prima. Sono tanti tasselli, non puoi pretendere di essere mezzo mosaico, se ne togli uno cambia sicuramente. Ma per la questione della vita dopo la morte, diciamo che nessuno è tornato indietro per raccontarlo, non credo alla favola cristiana. Anche questo per me è un falso problema, sono convinto che quando una domanda non è falsificabile mi interessa di meno. 

Questa intervista mi ha portata ad avere meno angosce e più pensieri positivi, con la consapevolezza che non per forza essere dimenticati o essere piccoli a confronto con il mondo e l’universo circostante sia un male. A volte bisogna solo pensare di essere parte di un mosaico gigantesco e quasi folgorante per la sua bellezza. 

L'intervista si è conclusa con tante riflessioni che mi hanno portata alla curiosità ancora più vorace di sentire anche i due futuri intervistati, Matteo Coatti e Chiara Paganuzzi.   

 

 

prof.ssa Chiara Paganuzzi, filosofa  


Mercoledì 26 febbraio, dopo una lunga giornata scolastica, ci siamo ritrovate in videochiamata e abbiamo amabilmente discusso di tematiche come la bellezza della filosofia, la vita dopo la morte, la religione e cosa le abbia donato questo percorso di studi. 


CP: La filosofia ti apre uno sguardo, ti cambia il modo di vivere  

GV: L’approccio? 

CP: L’approccio, sì, lo sguardo. Ti da’ moltissimo. 

GV: Lo studio della filosofia la ha quindi cambiato il modo di pensare dopo l’università? 

CP: Certamente, come dicevo prima, la filosofia ti cambia a trecentosessanta gradi perché non è un tipo di materia come il marketing. È una materia dove intrattieni una relazione molto profonda perché riguarda tutto l’esperibile dell’umano, tutto il mondo dell’esperienza umana, dalla conoscenza al rapporto col sacro, al modo in cui pensi e rifletti sul mondo, sui diritti umani, la concezione del tempo, del dolore, della vita e della morte, sicuramente mi ha molto cambiata.  

GV: Cosa le è rimasto dopo il suo percorso di laurea? 

CP: Credo che forse la maggior parte dei miei valori che poi sono quelli che ho costruito nel tempo successivamente al percorso universitario. Devo dire quasi tutto. Partiamo dalle cose più semplici, io avevo fatto una tesi sulla percezione visiva e questo tema tra pensiero ed immagine è stato un argomento che è stato un fil rouge di tutta la mia vita. Anche il rapporto tra conoscenza razionale e intuizione, ha anche influenzato il mio modo di fare scuola, e che il modo di fare scuola non debba riguardare solo ed esclusivamente lo sviluppo della conoscenza ma anche di guardare tutto l’aspetto dell’umano. Poi il tema dei diritti umani, il bene comune e la solidarietà che è stato un grande elemento, facevo molto volontariato. Sono valori che io avevo anche prima dello studio universitario, però all’interno del mio percorso universitario ho potuto approfondire molto e sono stati valori temi principi riflessioni che mi hanno accompagnato per il resto della mia vita e anche tutt’ora.  

GV: La filosofia dà risposte a tutto? 

CP: No, la filosofia non dà delle risposte, chiunque studia filosofia sa’ che non è un cercare le risposte, ma il vero dono della filosofia è insegnare e portare l’uomo a porsi delle domande, senza domande non ti metti in ricerca, questo lo abbiamo imparato da Socrate, la ricerca della verità è un percorso che tu intraprendi ponendoti delle domande. La risposta non è importante, la trovi oppure no, l’importante è questo movimento, questa tensione di ricerca, del senso e valore personale. Le risposte son sempre meno importanti. Anche se sappiamo che gli esseri umani sono sempre in cerca di risposte, che ne pensi tu? GV: Se ti fai delle domande molto spesso pretendi una risposta, e siamo tendenti a frustrarci quando non arriva. Forse sarò cattiva ma per esempio se ci si basa sulla religione vuol dire che sei così impaziente di avere una risposta che magari ti aggrappi ad un qualcosa che magari esiste oppure no, non si sa. Ci si aggrappa a qualsiasi cosa, per ora è così per me, magari cambierò. Forse essere impazienti di avere una risposta e avere la pappa pronta e avercela subito. Per me la fede non è farsi domande, molto spesso per me i credenti finiscono le loro tesi rispondendosi che l’ha detto Dio. 

CP: Quindi dici che siano più dogmatici 

GV: Sì, penso che la religione dia tutte le risposte, che tu ci creda o meno è un altro discorso. Secondo me i credenti son persone che vogliono la risposta nell’immediato. 

CP: Vero, poi ci sono tante religioni e tanti modi di essere religiosi, poi è vero che spesso, incontrando le persone più dogmatiche, cioè che accettano verità senza mettere in discussione; invece, a me la filosofia ha insegnato a mettere tutto in discussione. Ma mi ha anche insegnato a vedere le risposte ambivalenti, cioè che non c’è sempre una risposta precisa e certa, possiamo anche dirci cos’è la morte o su Dio, ma ovviamente dovremo accettare la sfida e la scommessa dell’incertezza, del fatto che si arrivi a delle credenze o riflessioni che non sono verificabili, non siano necessariamente dei punti ultimi o fermi. Voi che adesso state vivendo un momento di profonda crisi che si sta dilungando forse la scuola dovrebbe preoccuparsi anche di spiegare che ci deve essere l’incertezza, ma senza disperarsi, ci deve essere la speranza che qualcosa possa cambiare in meglio. Dobbiamo abituarci che non abbiamo la risposta subito. Viviamo in una società che ci insegna ad avere tutto subito. GV: Invece la domanda classica: la vita dopo la morte  

PG: Per la vita dopo la morte desidero che ci sia qualcosa dopo la morte, ti dicevo che sono cristiana protestante quindi credo che la vita dopo la morte spero che non ci sia più, nella mia visione cristiana Gesù abbia vinto la morte e quindi mi piace credere che non sia finito tutto dopo la morte. [...] Prendendo le distanze dal mio credo, mi sembrerebbe impossibile che non ci sia altro oltre al mondo in cui viviamo e crediamo. Poi che cosa ci sia dopo, il mondo, l’universo, Dio, se ce ne sono di più. Quindi sì, io credo che ci sia di più della morte della materialità e credo che ci sia qualcosa che è non so se è onnipotente o onnisciente, non lo so, dopo Auschwitz si sono fatti le grandi domande per il concetto di Dio, sulla questione dell’onnipotenza di Dio. Ma se non sarà quel Dio, ci sarà sicuramente altro. 

GV: A lei non fa paura l’ignoto o l’interagire con l’ignoto 

CP: Io ho più paura della vita e del dolore che si prova in punto di morte, quello mi fa più paura. Ma io sono certa che dopo la morte ci sarà qualcosa di molto più grande e bello, un'unione mistica con l'amore, non credo che ci sarà un Dio con le sembianze umane ma credo che sarà qualcosa di molto bello e avvolgente, una pace, un qualcosa dove siamo tutti interconnessi e non ne senti la distanza. Invece quando sei vivo sì, la senti. Hai paura della separazione, la morte è visceralmente la separazione, il distacco. Chi rimane in vita si sente travolgere dal distacco, chi muore non lo sente. [...] Mi fa molto più paura la vita, perché è più difficile affrontare le sue contraddizioni, ma con questo non ne perdo le speranze, cerco di coltivarle anche quando la vita sembra più difficile.  

Alla conclusione dell’intervista sono rimasta con un grande interesse verso la visione della vita e di tutto quello che ne è attorno della professoressa Chiara Paganuzzi, sono rimasta piacevolmente colpita ad ogni frase e sentenza che mi donava durante la nostra conversazione. Mi ha offerto bellissime riflessioni e speranza, in un mondo dove la speranza sta continuando a deteriorarsi e ad essere sempre meno visibile. 



prof Matteo Coatti, religioso 

Giovedì 27 febbraio, tramite una piacevole videochiamata, abbiamo discusso di numerosi temi come il rapporto tra fede e scienza, la concezione del mondo e la morte. 

 

GV: Secondo lei c’è un collegamento tra religione e scienza? 

MC: Secondo me è vero nella misura in cui pur giocando su piani e livelli differenti, con regole differenti entrambi mirano alla ricerca del perché. È una questione filosofica, in base a come uno pensa all’idea di ragione, una persona può già sapere tutto e non accetta niente di nuovo, o può essere una finestra spalancata, aperta a tutto. Secondo me è sciocco escludere la scienza motivandola da un punto di vista di fede, ma è anche sciocco escludere la fede da un punto di vista scientifico, dicendo che Dio non è dimostrabile, direi anche menomale, come tutte le cose che danno senso alla vita se fossero tutte scientificamente dimostrabili sarebbe anche troppo. 

GV: Secondo me è vero, ma anche scientificamente molte cose non sono state ancora dimostrate, molte regole che abbiamo in fisica non sono totalmente calcolabili, come la gravità, che è un numero simile ma non uguale a quello che dovrebbe essere. Ma è anche quello il problema, se io mi dovessi basare totalmente sulla fisica o scienza che è ancora in dubbio, non so se esserne totalmente incline. 

MC: Sono d’accordo, io ho fatto una lezione sul rapporto tra scienza e fede in una classe di studenti di chimica, raccontando di questo cosmologo che negli anni ‘90 ha fatto uno studio in Antartide sulla misurazione cosmica di fondo, spiegando che si aspettava un certo risultato, ma che effettuandolo è uscito un numero di misurazione molto più preciso. Consultandosi col suo capo, gli ha chiesto se potesse pubblicare la scoperta, e lui ha risposto “Se credi in questi dati, puoi pubblicare, se non ci credi non pubblicare” è comunque un atto di fede, a gradi differenti, ovviamente. 

GV: Com’è possibile che ci siano due risposte diverse tra fisica e religione? 

MC: Può essere possibile nella misura in cui le domande possono nascere da due quesiti differenti. La scienza misura lo spazio e il tempo, per esempio la teoria del Big Bang, la parte che precede il Big Bang deve essere indagato in altre maniere come per esempio il mito antico, le religioni, le filosofie, la fede cristiana. Io non vedo il pericolo delle due verità, la vedo come una verità composita, è un diamante che ha tante facce ma è uno solo, la fatica è tenerlo insieme.  

GV: Che concezione del mondo ha? Ora che viviamo in un mondo dove nasci, vivi, lavori e alla fine di tutto muori. Perché dovremmo continuare ad essere così? 

MC: Siamo qua per compiere totalmente noi stessi, in fede cattolica siamo qua perché un padre buono ci ha voluti a propria immagine e somiglianza che ci ha dato lo spirito santo per vivere al meglio la nostra vita. Ma te ne parlo da privilegiato, immagino che se vivessi dall’altra parte del mondo in condizioni di vita più complicate la concezione sarebbe diversa. Immagino che oggi siamo nell’epoca in cui abbiamo molte più possibilità. La possibilità per ciascuno c’è sempre, basta coglierla, ma mi rendo conto che non è uguale per tutti. Altrimenti non sarebbe vero che veniamo da un Dio buono che ci ha donato la ragione. 

GV: Sì, ma se dobbiamo vedere il Dio che ci vuole bene anche nel momento in cui si vedono le malattie e le morti dei bambini, per esempio, molto spesso la domanda della presenza di Dio c’è. 

MC: Il Dio che ci vuole bene in quel momento è in quel bambino. Lo scandalo del dolore innocente è l’unica vera obiezione che posso accettare ma non condividere. Ma so che il mio Dio è morto in croce da innocente, anche nel dolore innocente c’è una possibilità di bene.  

GV: Ha per caso paura della morte ed essere dimenticato? 

MC: Al momento no, per ora ho molta più paura delle persone a me care. La mia non mi spaventa particolarmente, può essere per l’incoscienza o per il minimo di fede che mi assicura la felicità eterna. Sono moderatamente curioso di vederla, quando ne sarà il momento. Ultimamente ci ho pensato spesso, spero di arrivarci pronto, arrivare alla mia morte preparato e che non mi colga all’improvviso. Quello che non mi fa cadere nella disperazione è la certezza che le persone morte e che mi erano care sono in una relazione in cui spero di entrare anche io. Certo, la mancanza si sente. 

GV: Mentre per la sofferenza in punto di morte? 

MC: Nella fede cattolica c’è la comunione dei santi, cioè che la mia sofferenza possa andare a tuo bene. Nulla è inutile. Con questa certezza anch’io che, onestamente non so soffrire sono proprio scarso, accetterei e potrei vivere meglio la mia sofferenza. Ovviamente spero di non soffrire troppo. 


L'intervista si è conclusa con grandi propositi e con una piacevole connessione con ogni materia. Queste interviste mi hanno fatto scoprire parti intime di persone differenti e ascoltando tutte le conversazioni, ho notato un forte collegamento interdisciplinare.  

Sono rimasta piacevolmente colpita dalle differenti prospettive di pensiero che hanno sollecitato riflessioni positive. L'unica conclusione possibile riguardo questo tema è la bellezza della diversità, una collettività all’interno del mondo in cui viviamo.

In conclusione, il mondo è bello perché è vario. 

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