Il peso delle aspettative: lo sport che mette alla prova
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Rodaina El Shami - La Redazione
Salma Mohamed, della 3C Odonto, con il suo racconto “Il peso delle aspettative” ha vinto il secondo posto del concorso Inchiostro in movimento, nella categoria Senior (16-19 anni), che metteva in palio premi in denaro e opportunità formative per gli autori dei testi selezionati.
Sono da anni l'associazione Amici di Edoardo, fondata dalla famiglia di Edoardo Kihlgren nel 1996 con il fine di costruire e finanziare un centro di aggregazione che permettesse ai giovani del quartiere Barona di coltivare le proprie passioni, Fondazione di Comunità Milano, Fondazione Mondadori e EOS – Edison a chiedere ad una giuria composta da docenti, psicologi, educatori, giovani lettori e rappresentanti dei promotori, di valutare i testi degli studenti. Il tema di quest’anno: “Sport: esperienza di crescita e libertà”. Tutti i testi dei partecipanti sono stampati e distribuiti nel volume Corpi in movimento.
Tre classi del Severi-Correnti hanno partecipato ai laboratori di scrittura che hanno portato alla redazione finale dei testi: sotto la guida di Luca Maccarelli, di Fondazione Mondadori, in due incontri laboratoriali gli studenti e le studentesse hanno messo a punto i loro elaborati: le classi ne hanno poi scelti cinque da inviare alla giuria. Emozionante è stato vedere premiato “Il peso delle aspettative” - che apre uno squarcio sullo sport che frustra e delude - sul palco del Franco Parenti il 19 maggio: ai racconti vincitori sono state riconosciute “originalità, capacità di affrontare in modo critico temi di attualità, struttura della trama nonché qualità della forma”. Sono state premiate con premi speciali anche le studentesse del Correnti Israa Abdel Salam con il suo Dalla rabbia al ring (Premio Lions Club Missione Sport per lo “Sport e inclusione”) e Mariam Hamoud con La distruzione dell’ansia (Premio Fondazione Bambini nel Cuore per lo “Sport come squadra e collaborazione”).
Salma Mohamed si è dedicata alla stesura del testo nel periodo tra la metà di gennaio e la fine di febbraio. All’inizio, dice, era - molto confusa perché l’argomento era lo sport -, ma lei non ha mai praticato sport e non sapeva di cosa parlare. Salma ha sempre scritto tanto, sempre testi brevi, e ha voluto fortemente partecipare al concorso. Ha quindi raccontato la storia di una ragazza che vive in un mondo dove lo sport è una cosa molto importante, ma lei non riesce a trovare il suo spazio all’interno di esso, nonostante gli sforzi; è il suo miglior amico ad aiutarla a trovare la sua strada, ossia quella della fotografia: la protagonista diventa la fotografa ufficiale della squadra scolastica.
Il non sentirsi all’altezza di qualcosa è una situazione nella quale molti giovani si trovano, ad esempio le ragazze che guardandosi allo specchio si sentono in difetto per il fisico o per un lineamento del viso, non sempre il “non sentirsi all’altezza” è legato a un'attività che si fa. Il ruolo di questa storia infatti è insegnare che, benché non ci si comporti o non si sia come gli altri si aspettano, si può comunque trovare il proprio spazio nel mondo.
Eccolo:
IL PESO DELLE ASPETTATIVE
Iris era una ragazza di diciassette anni, con lunghi capelli castani e un’espressione sempre un po’ pensierosa. Viveva in una piccola città dove lo sport sembrava essere l’unica lingua parlata da tutti. A casa, a scuola, per strada: ovunque si parlava di tornei, allenamenti e vittorie.
Nei bar, i televisori trasmettevano senza sosta incontri di calcio, basket o atletica. A scuola, i corridoi erano tappezzati di manifesti che annunciavano i tornei interscolastici, e i volti dei migliori atleti del liceo erano stampati su volantini con scritte in grassetto: “Orgoglio della nostra scuola!”
A casa, la situazione non era diversa: suo fratello maggiore, giocava a calcio in una squadra regionale, e i suoi genitori raccontavano con soddisfazione le sue imprese. Ogni sera a cena, l’argomento principale era la sua ultima partita, le sue performance in campo e i suoi progressi. E poi arrivava inevitabilmente la fatidica domanda:
«E tu, Iris?»
Ogni volta, sua madre o suo padre le lanciavano uno sguardo incoraggiante.
«Hai pensato a uno sport? Potresti fare atletica, o magari ginnastica artistica.
Con le tue gambe lunghe, saresti perfetta!»
Ma Iris non si sentiva “perfetta” per niente.
Non che non avesse provato. Anzi, aveva tentato più volte di trovare il suo posto in quel mondo fatto di sudore e competizione. Si era iscritta a diversi sport, nella speranza di trovare quello giusto per lei. La prima scelta era stata il nuoto: La piscina sembrava un posto tranquillo, dove non c’era bisogno di correre dietro a un pallone o di competere direttamente contro qualcuno. Ma già dopo poche lezioni aveva capito che non faceva per lei: i suoi movimenti erano impacciati, ogni vasca le sembrava infinita, e la sensazione dell’acqua fredda sulla pelle le dava fastidio.
L’istruttrice, con il fischietto sempre in bocca, le urlava di muovere meglio le braccia, ma lei non riusciva a trovare il ritmo giusto. Poi aveva provato la pallavolo. In teoria, sembrava più divertente, ma la realtà era stata diversa. Ogni volta che la palla arrivava verso di lei, si irrigidiva. Non riusciva a schiacciare con la forza degli altri, né a ricevere senza provare un leggero dolore alle braccia. Durante una partita, aveva mancato una schiacciata e la sua squadra aveva perso il punto decisivo. Le compagne l’avevano guardata con delusione e, anche se nessuno lo aveva detto apertamente, Iris aveva capito di non essere la benvenuta. A scuola, quelle due ore di educazione fisica erano un incubo. Iris non era mai stata veloce, né particolarmente coordinata. I suoi compagni la guardavano
con aria di superiorità quando arrivava ultima durante una corsa o quando non riusciva a fare un canestro. Persino l’insegnante, un uomo appassionato di sport sembrava più interessato ai ragazzi talentuosi e lasciava Iris a se stessa. Dopo l’ennesimo fallimento, aveva capito che forse lo sport non faceva per lei. Ma in quella città, dove tutti sembravano ossessionati dal movimento e dalla competizione, sentirsi diversa era difficile. Un giorno, durante una cena in famiglia, suo padre disse: “Iris, devi trovare il tuo sport. Non puoi stare senza far nulla. Lo sport insegna disciplina, ti rende
forte!” Lei abbassò lo sguardo, cercando di nascondere la frustrazione.
La pressione era ovunque. Gli amici parlavano continuamente di allenamenti e gare e lei non poteva fare a meno di sentirsi inferiore. Sembrava che chiunque non praticasse uno sport fosse “meno”. Eppure, Iris non riusciva a capire perché doveva per forza eccellere in qualcosa che non le piaceva. Un pomeriggio, durante una lezione di educazione fisica, l’insegnante propose una partita di pallavolo. Come sempre, Iris si mise nell’angolo, sperando di non essere notata. Ma questa volta, quando cercò di prendere una palla, qualcosa andò storto, e Iris finì per inciampare pesantemente. La risata dei compagni riempì la palestra e Iris sentì il viso bruciare di vergogna.
Quella sera si chiuse in camera, combattendo contro le lacrime.
Bussò alla porta Andrea, il suo migliore amico.
«Posso entrare?» chiese con la sua voce calma e rassicurante.
«Fai pure» mormorò Iris, asciugandosi rapidamente le lacrime.
Andrea si sedette accanto a lei. «Hai quella faccia da ‘qualcuno mi ha fatto arrabbiare’» disse, tentando un sorriso. Iris sospirò. «Sono stanca, Andrea. Tutti si aspettano che io sia brava in
qualcosa che odio. Lo sport non fa per me, ma sembra che non sia abbastanza.»
Andrea inclinò la testa, pensieroso. «E chi ha deciso che devi essere brava nello sport? Voglio dire, io non ho mai visto nessuno fare foto come le tue. Ti ricordi quella che hai scattato al tramonto al parco? È lo sfondo del mio telefono.»
Iris lo guardò, sorpresa. «Davvero? Ma sono solo foto…»
«Non sono ‘solo foto’» replicò Andrea con convinzione. «Sono le tue foto. Raccontano qualcosa, catturano un’emozione. Lo sport non è per tutti, Iris, ma chiunque può trovare ciò che ama davvero. Non devi piacere a tutti, ma devi sentirti bene con te stessa.»
Le sue parole risuonarono dentro Iris per giorni. E fu proprio ripensando a quella conversazione che prese in mano la sua macchina fotografica, un vecchio modello che suo zio le aveva regalato qualche anno prima. All’inizio scattava senza un’idea precisa: il cielo illuminato dalle stelle, i volti delle persone immerse nei loro pensieri o i paesaggi naturali lungo il tragitto da casa a scuola.
Poi, un pomeriggio, mentre tornava a casa, si fermò nei pressi del campo sportivo scolastico. In lontananza, i suoi compagni giocavano una partita di calcio. Spinta da un impulso, puntò l’obiettivo e scattò una foto. Non era interessata al gioco in sé, ma alle espressioni: la determinazione sul volto di Mattia, la gioia di Tommaso dopo un goal, la tensione di Cristian in difesa e la speranza negli occhi di Isabella. Fu in quei momenti che capì quanto amava la fotografia. Non era solo un
passatempo, non erano più «solo foto», ma un modo per vedere il mondo da
una prospettiva diversa, più intima e autentica. Le sue foto cominciarono a farsi notare. Andrea fu il primo a incoraggiarla a mostrarle in pubblico. «Potresti fare una mostra» le disse. «O almeno farle
vedere a qualcuno a scuola.» Un giorno, mentre fotografava un’altra partita, l’insegnante di educazione fisica si avvicinò a lei, incuriosito. «Posso vedere?» chiese.
Iris esitò un attimo, poi gli porse la macchina fotografica. L’uomo osservò le immagini in silenzio, poi annuì con un sorriso. «Hai un vero talento, Iris. Non è in campo, ma riesci a catturare lo spirito del gioco meglio di chiunque altro. Le tue foto parlano.»
Dopo qualche giorno, l’insegnante le propose ufficialmente di diventare la fotografa della scuola per gli eventi sportivi. Per la prima volta, Iris sentì il peso delle aspettative dissolversi, si sentì davvero parte di quel mondo. Non come atleta, ma come osservatrice, come narratrice di storie attraverso le immagini. Anche la sua famiglia la appoggiava, ed erano tutti più felici ora che anche lei aveva trovato la sua passione. Per la prima volta, Iris si sentì libera di essere se stessa, ed allo stesso tempo integrata.