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Violenza e Aggressività

!ALl - Giulia Albanese , Jennifer Quiroz, Beatrice Loasses


10 MINUTI


La tematica che ho scelto per questo testo è la violenza sulle donne perché, essendo una ragazza, è un argomento che mi tocca da vicino e che mi preoccupa. Secondo me questa è una delle tematiche che bisognerebbe affrontare quotidianamente a casa e a scuola. Attraverso il mio racconto rappresento la tematica della violenze fisica e verbale che la protagonista ha ricevuto in un qualsiasi giorno della sua vita. Il genere che ho utilizzato è il giallo: ho scelto questo genere perché penso che possa allo stesso tempo intrattenere il lettore senza annoiarlo e non far passare in secondo piano il messaggio che vorrei mandare, cioè la consapevolezza del fatto che ogni giorno una donna su tre subisce violenze sessuali dal marito, dal partner o da sconosciuti.


Quel giorno, entrando a scuola, mi sentii strana: pensai che mi sarebbe successo qualcosa. Le lezioni di fisica furono molto più noiose del solito e non riuscii a concentrarmi perché ebbi mille pensieri per la testa.

Finite le lezioni, presi la strada per tornare a casa, ma vidi dei ragazzi che mi guardarono in modo strano, come quando nei film le ragazze vengono inseguite da malintenzionati. Mi spaventai sempre di più; mi venne l’affanno perché ogni volta che io aumentavo il passo, lo facevano anche loro. Cercai un negozio dove entrare, così sarei stata più sicura, ma erano tutti chiusi, come se nessuno mi volesse aiutare.

Non vedendoli più, iniziai a rallentare il passo, ma erano saliti su un minivan per raggiungermi. Mentre attraversavo la strada, ho sentito qualcuno che mi prese per il braccio; da quel momento non vidi più nulla. Cercai di scappare, di tirare calci ma erano riusciti a prendermi.

Mi portarono sul minivan e mi iniziarono a fare delle domande: “ Come stai Anna?”.

Io, senza rispondere, mi domandai come sapessero il mio nome, poi vidi che avevano preso la mia borsa con i documenti e i soldi. Il minivan era tutto scuro, pieno di sacchi della spazzatura, con una puzza allucinante, i finestrini oscurati e delle chiazze di sangue che si trovavano sulle pareti e mi spaventavano sempre di più ogni volta che le vedevo. Provavo una paura immensa, a tal punto da sentirmi bloccata .

Dopo circa venti minuti, che mi sono sembrati un secolo, aprirono una portiera del van e mi buttarono giù; mi avevano portato in un campo in mezzo al nulla.

Mi legarono ad un albero e iniziarono ad ubriacarsi. Dopo poco iniziarono i 10 minuti più brutti della mia vita: mi fecero tutte le cose che una donna non vorrebbe mai che

le venissero fatte. Mentre urlai per chiamare qualcuno e provai ad allontanarmi, ma si impossessarono del mio corpo.

Dopo i dieci minuti se ne andarono con tutte le mie cose, tranne i vestiti. Riuscii a liberarmi della corda intorno all’albero e, dopo essermi rivestita, senza forze, scappai con le forze che mi rimanevano per tornare a casa.

Una volta arrivata per miracolo, raccontai tutto a mia madre: iniziai a piangere e a vergognarmi di me stessa e di quello che mi avevano fatto. Insieme a mia madre, con la paura di raccontare tutto e l’angoscia che sarebbe potuto succedere di nuovo, andai alla polizia per denunciare il fatto. La prima domanda che ci posero fu:” Com’era vestita sua figlia?” e mia madre rispose “ Come si permette?! Si rende conto che mia figlia è stata appena violentata e traumatizzata per tutta la vita e lei chiede com’era vestita!”

Passarono i giorni e tutta la città parlava di quello che è successo a me e ad altre persone che hanno subito violenze sessuali. I poliziotti non sono riusciti a trovare i colpevoli perché, visto il trauma che ho subito, non sono riuscita a fornire le loro descrizioni.

Io, Anna, sono una delle due milioni e ottocentomila donne che hanno subito violenza nel mondo.


VR


Come tema per il mio racconto ho scelto la riflessione sulla tentazione della violenza e dell’aggressività e sulle modalità con cui viene espressa. Ho scelto questo tema dato che mi interessava molto il fatto che alla gente sembri piacere la violenza, che sembra piaccia anche vederla, e come molti videogiochi la rappresentino come del tutto normale (per esempio Call Of Duty, Mortal Kombat o GTA). Ho voluto rappresentare questo argomento attraverso un racconto horror che tratta di visori di realtà virtuale (abbreviazione VR) nei cui giochi l’obiettivo è uccidere più persone possibili per accumulare punti.


Un colpo di pistola gli bastò per uccidere Billy. Tutto iniziò a causa di quel regalo….

Kevin era un ragazzo di 15 anni, alto, magro e senza amici; passava tutto il tempo in camera sua a studiare o a guardare il cellulare, uscendo solamente per cenare. Odiava la scuola, soprattutto quando arrivavano Billy e i suoi amici. Lui lo aveva preso di mira fin dal primo momento in cui aveva messo piede a scuola; ogni mattina, Kevin camminava velocemente per evitare di scontrarsi con il bullo, ma lui lo trovava sempre; veniva pestato fino a che gli uscisse sangue: ormai era abituato al dolore e non lo percepiva quasi più. I suoi genitori avevano notato i lividi e le ferite di cui era ricoperto e che riportava a casa ogni giorno, ma lui mentiva su come se li fosse procurati inventando scuse come “Tranquilla mamma: oggi, mentre stavamo giocando, mi è arrivata una pallonata addosso e mi ha colpito” oppure “Mamma, stavamo solo scendendo le scale e sono caduto.” Il problema era che queste scuse non funzionavano più. I genitori di Kevin non sapevano più che cosa fare per rallegrarlo, così decisero di regalargli un VR (visore di realtà virtuale) che conteneva solamente un gioco violento che consisteva nell’uccidere più gente possibile e guadagnare molti punti, così da comprare nuove armi. Kevin, dopo cena, provò il gioco e ne rimase affascinato. Iniziò a passarci sopra sempre più tempo fino ad ossessionarsi. Aveva sviluppato una sorta di piacere nel vedere tutto quel sangue e come la gente moriva; riusciva a stento a distinguere realtà e videogioco. I genitori, preoccupati, vollero portarlo da uno psicologo; arrivati là lasciarono Kevin e il dottore da soli. Lui gli pose la prima domanda : “Come stai, Kevin?”, ma non ottenne risposta.

Le loro conversazioni continuarono così per un po’ di tempo, ma piano piano il ragazzo cominciò ad aprirsi di più. Un giorno, lo psicologo gli disse: ”Kevin, cosa c’è in queste cose sadiche come l’omicidio che ti affascina tanto?” Kevin abbozzò un sorriso e rispose alla domanda. Dopo 10 minuti uscì dallo studio seguito dallo psicologo che si

fermò a parlare ai genitori con aria spaventata, spiegando che pensava che Kevin avesse un grave problema. Loro, nel tragitto verso casa, posero alcune domande al loro figlio. Iniziò la mamma con: “Amore, tutto bene?” Kevin rispose con un sì secco. Lei continuò: ”Figliolo, cosa hai detto oggi allo psicologo?” E dalla bocca di Kevin non uscì nemmeno una risposta, ma solo un sorriso. Arrivati a casa, Kevin riprese a giocare con il VR, ma questa volta non si sentiva soddisfatto: aveva bisogno di uccidere qualcuno o qualcosa. Quella sera, verso le due del mattino, uscì con un coltello affilato che sua mamma utilizzava per tagliare il pollo. Kevin incontrò una lepre e, per sfortuna dell’animale, si avvicinò lentamente e la trafisse così forte da ucciderla all’istante. Adorò quella sensazione di pugnalare un povero animaletto. Il giorno seguente non andò a scuola; rimase a casa e aspettò che i suoi uscissero per andare al lavoro. Decise di andare in un campo in cui si trovavano molti animali e volle ucciderne il più possibile, così da accumulare “punti” come nel gioco. Il giorno seguente andò a scuola più felice del solito: arrivò e, come sempre, Billy lo aspettò nascosto per trascinarlo in un posto isolato. Billy lo spinse da dietro, solo che questa volta tutto sarebbe cambiato: appena si voltò, Kevin gli puntò una pistola in testa e lui rimase congelato. Dalla bocca di Billy non uscivano parole ma bensì solo piccoli versetti, invece Kevin aveva un sorriso macabro. La pistola che stava sostenendo in quel momento era di suo padre; la teneva nascosta in alto sopra l’armadio. In teoria nessuno conosceva il nascondiglio, ma un giorno, mentre la stava riponendo nell’armadio, Kevin passò davanti la sua stanza e vide dove l’aveva messa.

Mise il suo dito sul grilletto e Billy iniziò a supplicarlo; nelle sue parole c’erano paura e rimpianto, mentre Kevin non emanava nessuna emozione tranne il suo solito sorrisetto.L’unica cosa che disse prima di premere il grilletto fu :“Ciao Billy”. E partì un colpo: il corpo di Billy cadde a terra pieno di sangue che gli usciva dalla testa. A lui bastò solo un colpo in testa per ucciderlo. Si avvicinò lentamente al corpo e l’unica cosa che disse fu:

“Grazie Billy, mi hai fatto guadagnare un punto in più!”.


STRESSED OUT


Come tematica d’ispirazione per il mio racconto ho scelto la riflessione sulla violenza e aggressività a partire dalla storia di Emilie Griffith, un famoso wrestler, che dopo essere stato insultato dal suo rivale, Bernardo Paret, lo ha ucciso in una gara di wrestling. Emilie era offeso, arrabbiato e non si rendeva conto di quanto fossero potenti i suoi pugni. Mi ha colpito molto quest’idea e mi ha fatto pensare che ci possono essere molti motivi per cui una persona possa diventare violenta.


Che ore sono? È già suonata la sveglia? Prendo il cellulare e controllo: sono le 6:50 del mattino di un lunedì. Mi alzo e penso al programma di oggi: a scuola ho l'interrogazione di latino alla prima ora e la verifica di inglese alla quarta; realizzo che inglese e latino sono due delle materie insufficienti che devo recuperare! Vado in panico, nella mia testa sfrecciano solo pensieri negativi: di sicuro non passerò l'anno, andrò male nell' interrogazione. Poi ricordo che ho anche boxe, il mio sport preferito, almeno una cosa divertente.

Mi rendo conto che una notifica sul cellulare mi illumina il viso, la schiaccio e vedo che mia madre mi ha augurato il buongiorno; da quando lei e papà hanno divorziato, mi manda molti più messaggi; ricordo ancora quando me l’hanno detto: è iniziato tutto da un litigio per questioni economiche, poi mio padre continuava ad uscire di casa anche il sabato e la domenica, diceva di andare a lavorare invece si è scoperto che si vedeva con un’ altra donna… Quel giorno si sono chiusi nella cucina e hanno parlato per ore e successivamente me l’hanno riferito, avevo solo 10 anni.

Sono le 7:00 mi devo sbrigare, rischio di perdere il bus. Faccio colazione ed esco di casa.

Riesco ad arrivare a scuola in orario, la prof non è ancora arrivata, meglio, ho qualche minuto per ripassare. Mentre leggo gli appunti mi accorgo che i miei compagni stanno facendo una classifica di chi è più bravo a scuola e quando arrivano al mio nome si mettono a ridere. La mia preoccupazione più grande si è avverata: sono davvero il peggiore della classe! Non ho tempo per disperarmi che entra la prof e non perde tempo iniziando la mia interrogazione.

Dopo solo 5 minuti capisce che non ho studiato abbastanza e mi mette direttamente 4 sul registro. In quel momento mi crolla il mondo addosso; l' ennesimo 4! Cosa dirò ai miei genitori? Come farò a recuperare? L'unica risposta alla seconda domanda è: non lo farò. La seconda e terza ora passano velocemente ed ecco che arriva l'ora della verifica e,

mentre la leggo, mi accorgo di non sapere la risposta di molte domande. Niente da fare, sicuramente verrò bocciato!

Consegno la verifica in bianco, mi rimetto al banco e piango poco, per non far vedere agli altri che sono debole.

Arrivo a casa, vuota come al solito, ho solo mezz'ora per mangiare prima di andare a boxe. Mangio velocemente e mi riposo un po’.

Finalmente arrivo in palestra; mi metto i guantoni e inizio l’allenamento con un saccone. Oggi sono proprio stanco, i miei pugni riescono a malapena a muovere il saccone. Il mio allenatore mi dice di andare sul ring a fare allenamento contro un ragazzo della mia età. Mentre mi preparo molta gente della palestra ci si mette attorno per vedere lo scontro. Salgo sul ring e inizia il duello. Il mio avversario è carichissimo e inizia con un gancio destro che mi arriva dritto in faccia; non perde tempo e mi tira un altro pugno in pancia. In quel momento, mentre subisco altri pugni, mi viene una rabbia improvvisa, una di quelle che non ho mai provato. Ripenso ai miei genitori che hanno divorziato e tiro due pugni potentissimi al mio rivale uno in faccia e uno in pancia. Sento una forza potentissima che scorre nelle mie vene. Ne tiro altri due mentre penso allo sguardo deluso della prof di Latino durante l'interrogazione. Ne tiro tre quando penso agli sguardi compiaciuti dei miei compagni mentre mi guardano. Penso alla mattina del lunedì quando realizzo che è l'inizio di una settimana piena di ansie e stress e ne tiro altri quattro. Solo quando il mio allenatore ci divide realizzo che il mio avversario è ormai privo di sensi.

Ha un occhio nero e un labbro sanguinante; solo adesso mi rendo conto che gli ho fatto male, la colpa è solo mia. Tutta la rabbia e la violenza che provavo prima ora non ci sono più, ora provo solo un senso di colpa. In realtà non gli volevo fare male, mi sono lasciato trasportare dai miei sentimenti.





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