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Una, nessuna e centomila: Paola Cortellesi incontra trecento scuole

Aggiornamento: 12 feb


La Redazione


In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne l’Istituto Severi-Correnti ha partecipato con numerose sue classi, all’anteprima per le scuole del film “C’è ancora domani”. Alla visione del film ha poi fatto seguito un collegamento Live con la regista e attrice Paola Cortellesi in compagnia delle attrici Emanuela Fanelli e Romana Maggiore Vergano e della Vicepresidente della Fondazione Una Nessuna Centomila, Celeste Costantino. Tutte le presenti sono state intervistate dal giornalista Giovanni Minoli. Si riportano qui di seguito alcuni stralci della lunga intervista ritenuti particolarmente significativi. 


[…] Uno stimolo alla riflessione, soprattutto quando si esce da un cinema, quando si sta tutti insieme e si incontrano le persone alla fine di uno spettacolo, quando si fa un dibattito e si vedono tante persone andate al cinema, ferme a parlare, spesso anche di cose private e importanti che loro hanno voglia di tirare fuori in mezzo a 500 estranei. Io credo che questo sia il significato di condivisione e sia anche il significato del mestiere che faccio. 

  

[…] C’è ancora domani è lunedì. Sembra molto poetico come titolo, in realtà significa soltanto lunedì […]. Quando è arrivato il diritto di contare, è arrivato dallo Stato, scritto nero su bianco, su una lettera con nome e cognome. Lo Stato certifica e lo Stato è più importante degli aguzzini e dei padroni. Quando arriva una cosa così importante Delia, [la protagonista del film,] si emoziona, non per amore o per una fuga d’amore. [Ottiene] per la prima volta il diritto di sentirsi importante, di contare, una goccia nel mare.  In quel mare, però, la nostra Delia ci vuole nuotare volentieri. 

                                                                                   Paola Cortellesi, 22/11/2023 


Giovanni Minoli: Vedendo il tuo film mi è venuto in mente questo [famoso slogan del ‘68] “Siate realisti, chiedete l’impossibile”, l’hai pensato? 

Paola Cortellesi: Lo passerei ai ragazzi questo…questo claim, diciamo così... 

Giovanni minoli: Ma tu? 

Paola Cortellesi: Io l’ho pensato, ma passerei ai ragazzi…perché bisogna pensare sempre l’impossibile. Sì, l’ho pensato, l’ho pensato quando ho voluto fare questo film, l’ho pensato all’interno della storia di questo film. Delia pensa l’impossibile perché quello che lei fa, nelle sue condizioni, è un’odissea, un viaggio epico e quindi è l’impossibile. 

[....] Giovanni Minoli: In questo film ci sono tutte le radici profonde della cultura patriarcale. Tu riesci a raccontarle splendidamente, ma tutto quello che è successo oggi e di cui si parla continuamente in questi giorni…Vuol dire che siamo ancora lì? 

Paola Cortellesi: Siamo ancora lì perché tutto quello di cui si parla oggi, ahimè, non è successo soltanto oggi, ieri, ma succede ogni 72 ore, se stiamo parlando di femminicidio, e succede nella vita quotidiana di tantissime donne, ma soprattutto di tantissime ragazze e ragazzi. Ciò vuol dire che una sacca resistente di quella cultura del patriarcato resiste. 

Giovanni Minoli: Resiste. 

Paola Cortellesi: C’è e quindi bisogna togliere di mezzo questo che, come Celeste [Costantino] dice, “è un fenomeno strutturale”. 

Giovanni Minoli: Esattamente. Tu hai raccontato in molte interviste che le persone ti fermano, ti scrivono e ti dicono di essersi riviste. Ognuna si è rivista in qualcosa, chi come bambino, chi come amica. Che cosa, secondo te, è riuscito a legare l’universalità di queste reazioni nel tuo film? 

Paola Cortellesi: Io credo che sia di nuovo l’urgenza di raccontare un tema che è nella vita di tutti noi, non necessariamente nella drammaticità e violenza che raccontiamo nel film, ma nelle piccole cose, nello svilire gli altri, le altre, nel sentire alcune donne dire che hanno un ruolo ancora subalterno, magari nel lavoro o magari nella vita familiare, nella vita coniugale. Questo è ancora presente ed è presente anche nelle nuove generazioni. Ecco perché io credo che sia da attribuire a questo la grande risposta che ha avuto questo film. 

Giovanni Minoli: Tutte queste domande hanno una risposta dentro al film. Ecco... Emanuela Fanelli, tu sei Marisa, l’amica del cuore che, più o meno, tutte le donne in genere hanno, o, per lo meno, quelle che sono fortunate. Quanto conta avere un’amica alleata? 

Emanuela Fanelli: Marisa è l’amica. Ci sono due amori in questo film. Non c’è l’amore che dovrebbe esserci con il proprio marito, ma c’è un grande amore nei confronti di una figlia e un amore amichevole. L’amicizia è una forma d’amore molto alta perché non ci sono delle implicazioni che possono esserci in quello sentimentale. [È bello] avere vicino una persona che ti ama e che ti dice: “Dai, tira fuori il meglio di te, perché io voglio che tu sia felice”... Sembrano cose molto retoriche, in realtà no. 

Giovanni Minoli: No, non è retorica, è un fatto vero.  

[…] Giovanni Minoli: Romana tu interpreti la figlia. È un rapporto fantastico quello fra madre e figlia in questo film. Viene da chiedersi [qualcosa sull’] evoluzione di questo rapporto. Che alleanza bisogna chiedere, [che alleanza] bisogna che venga fuori nel rapporto tra madre e figlia? L’hai capito? L’hai pensato? L’hai introiettato? 

Romana Maggiore Vergano: L’ho decisamente introiettato e non esito a dire che è cambiato il mio rapporto con la mia mamma dopo questo film.  [Lo considero] tra i più profondi. Una madre è quella [persona] che ti ha generato, che ti ha tenuto in grembo nove mesi prima di darti alla luce, quindi, indipendentemente dalle dinamiche familiari, è sempre un punto di riferimento. Io personalmente ho deciso di instaurare questo rapporto con mia madre nella trasparenza, nella fiducia. C’è bisogno di un dialogo costante. Non vuol dire che [tua madre] deve essere necessariamente un’amica, perché lì poi succedono altre cose disfunzionali che non vanno bene. Anche [pensando agli] sguardi che ci sono fra Marcella e Delia… ci si capisce al volo... 

Giovanni Minoli: Questo film racconta questa situazione in un’epoca passata. Di quest’epoca passata che cosa sapevi? Che cosa conoscevi? Che cosa ti ha sorpreso di più? 

Romana Maggiore Vergano: È sicuramente stato un grande viaggio nel passato. Mi ha dato la possibilità di parlare prima di iniziare a girare con tante persone, non con mia nonna perché non c’è più, però ho chiesto a tante donne che sono state Marcella in quel periodo per avere più testimonianze possibili, concrete e reali. La cosa che mi ha stupita e, non mi vergogno a dirlo anche se un po’ mi imbarazza, è che io non sapevo del diritto allo studio, che la scuola non fosse accessibile come oggi. Una ragazza che non veniva da un ceto sociale elevato e che non aveva la possibilità economica di potere studiare, non era detto che potesse farlo e quindi era più comune che, invece, venisse mandata alla scuola di avviamento molto presto per portare dei soldi a casa. 

[….] Giovanni Minoli: Paola, fra le tante scene bellissime nel tuo film c’è quella in cui Delia lavora nella bottega degli ombrelli e viene pagata meno di un giovane uomo che viene introdotto all’ultimo momento, probabilmente raccomandato… C’è come un retropensiero…non sapeva fare niente… Perché è importante parlare di questa discriminazione economica nella retribuzione tra uomo e donna? 

Paola Cortellesi: Perché questo c’è ancora ed è una cosa che non ha ragione d’essere, però c’è. Anche questo è figlio di una cultura che vuole discriminare il genere femminile. C’è ed è anche uno dei principali motivi, poi Celeste ci saprà dire in modo più approfondito, per cui anche nei casi di violenza reiterata in casa, una donna non riesce a staccarsi, a dire basta, proprio perché non ha un’indipendenza economica. Allora era così ed era sotto gli occhi di tutti, non ci si scandalizzava per questo.  

 [...] Giovanni Minoli: volevo che Celeste ci raccontasse esattamente che cosa fa la Fondazione “Una Nessuna Cetomila”. 

Celeste Costantino: Sì. Grazie a Paola per questo film e per questa opportunità. La Fondazione è la prima Fondazione Italiana che si occupa di contrasto e prevenzione alla violenza sulle donne. Lo facciamo, come è già stato anticipato, raccogliendo dei fondi, delle donazioni che poi vengono erogati ai centri antiviolenza. [RIVOLGENDOSI AI PRESENTI]. Lo sapete voi cosa sono i centri antiviolenza? Ne avete mai sentito parlare? 

Giovanni Minoli: Spiegaglielo che è meglio.  

Celeste Costantino: Sono dei luoghi importantissimi per le donne. Ci si rivolge [ad essi] nel momento in cui si sta vivendo una violenza. Questi luoghi sono dei luoghi protetti dove le donne possono raccontarsi e fanno un percorso di riappropriazione del sé. Riappropriazione del sé significa non solo riuscire a liberarsi dalla violenza, ma significa ricominciare a conoscersi, quella è la miccia che permette poi di riprendere in mano la propria vita. Purtroppo, riprendere in mano la propria vita dopo un percorso di violenza può significare essere sole, non avere più delle reti sociali intorno, non avere più una famiglia, avere figli a carico e non avere un lavoro. Insieme alla Presidente Giulia Minoli, che è stata citata prima, e all’altra mia socia, Lella Palladino, che si occupa delle case-rifugio, dei percorsi, della fuoriuscita dalla violenza, mi sono immaginata di andare a sostenere, soprattutto, quelle realtà che permettono alle donne di inserirsi dentro percorsi lavorativi.  È fondamentale avere indipendenza economica per sentirsi libere: questo deve essere il messaggio che noi vogliamo mandarvi qui oggi. È importante per tutte e tutti essere libere di potere decidere. Non c’è un modello che dobbiamo immaginare che sia unico. Possiamo veramente fare tutto. L’importante è avere l’opportunità di poterlo fare. 

Giovanni Minoli: Perché è importante parlare di Educazione Sentimentale o Educazione all’Affettività nelle Scuole? Cosa significa esattamente? 

Celeste Costantino: In questi giorni abbiamo sentito spesso parlare di Educazione all’Affettività. Il nostro paese è in forte ritardo su questo. Prima veniva citato il ’68. Verso la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, un po’ in tutta Europa si era sperimentata l’Educazione Sessuale. Oggi l’Educazione Sessuale non basta più perché il problema non è solamente il corpo, ma sono le relazioni, perché la violenza nasce dentro quelli che vengono considerati rapporti amorosi. È quindi importante riuscire a capire perché, per esempio, non si accetta un abbandono o un fallimento. È importante riuscire a capire cosa si muova di più all’interno delle relazioni. Noi immaginiamo chiaramente [un percorso] per fasce d’età. Iniziare dalla Scuola dell’Infanzia fino alle Scuole Superiori significa intervenire su più livelli. Il primo, per essere schematica, [è rappresentato dalla lotta agli] stereotipi di genere. Non va bene essere delle principesse, si può essere anche tanto altro e poi si sceglie. I modelli di riferimento sono ormai cristallizzati e non corrispondono in realtà alla vita di tutti i giorni; già molte bambine sognano di diventare delle scienziate ed è giusto che loro sappiano che questa cosa si può fare, si può realizzare. Poi, un’altra cosa, la Storia, i Libri di Testo. Troppe volte c’è il rimosso del portato delle donne, della storia che viene raccontata in “C’è ancora domani”. Le donne hanno contribuito a fare grande questo paese ed è giusto che tutti quanti voi ve lo ritroviate scritto all’interno dei libri, come la Storia degli Uomini.  

Giovanni Minoli: E quindi con la vostra Fondazione voi raccogliete fondi per queste diverse opzioni. 

Celeste Costantino: Con la nostra Fondazione sosteniamo progetti, perché non esiste una Legge. Non c’è, all’interno dell’Ordinamento Scolastico, la possibilità di fare Educazione all’Affettività; quindi, noi sosteniamo progetti che con l’Autonomia Scolastica è possibile fare e realizzare grazie a Associazioni che, in questi anni, li hanno portati avanti. Collaboriamo con Educare alle differenze, con Scosse, realtà importanti che, in quest’ultimo decennio, hanno lavorato tantissimo nelle Scuole, per portare avanti questo ragionamento. 

Giovanni Minoli: C’è quindi da invitare questi 56600 ragazzi che ci stanno seguendo nelle 300 Scuole che sono collegate a parlarne in famiglia e a farsi portatori sani di questo messaggio, sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista materiale.  

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