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Solidarietà: la vita in una comunità di recupero

Aggiornamento: 13 giu 2024

Gaia Stefanoni - La Redazione



Come si vive nelle comunità di recupero per tossico dipendenti? Come sono le persone che si trovano lì? Quali sono le attività che caratterizzano la vita degli ospiti?

Grazie all’esperienza che ho vissuto, posso dare una risposta a queste ed altre domande. Nei primi tre giorni delle vacanze pasquali con il mio gruppo scout sono stata in una comunità di recupero situata a Ponzate di Tavernerio in provincia di Como. Questa comunità ospita circa 15 persone, tutti uomini con un’età compresa tra i 24 e i 70 anni con vissuti, storie e dipendenze differenti. Durante la nostra permanenza abbiamo alloggiato in appartamenti che vengono utilizzati dagli ospiti che hanno quasi concluso il percorso riabilitativo per concedere loro una maggiore autonomia.

Sin dal primo momento mi ha stupito una frase che ci è stata detta poco dopo essere arrivati e, in particolare, mi ha colpito il modo in cui è stata pronunciata non con rancore ma, forse, come una provocazione verso di noi intrusi: “Io non vi volevo qui, non siamo animali in gabbia e questo non è uno zoo o un circo”.

Vivere insieme agli ospiti mi ha permesso di avere una maggior consapevolezza del problema. Mi ha fatto capire che, anche se sarebbe comodo, non esiste solo bianco o nero e tutti possono diventare dipendenti da droghe o altro, indipendentemente dalla propria età, dall’origine dei propri genitori o dal quartiere in cui si è cresciuti. La dipendenza può essere sviluppata non solo in età giovanile, ma anche molto dopo, verso i 30/40 anni e perfino nel periodo della pensione, quando ormai uno potrebbe pensare di aver “scampato” il pericolo.

Una delle affermazioni degli ospiti che mi ha colpito maggiormente è: “La comunità è una scelta difficile, a volte, anche più del carcere”.

La comunità ha regole precise e stringenti: non si può avere il cellulare, le cuffie o tutti quei dispositivi che ci isolano; la quantità di sigarette e caffè che si possono prendere giornalmente è controllata; la vita è scandita da orari precisi e programmi un po’ monotoni. Sembra un paradosso, ma in carcere si ha quasi più libertà.

Nei giorni trascorsi in comunità ho avuto modo di scoprire pezzi di storie di persone che mai avrei immaginato di conoscere e che mai avrei pensato potessero essere condivise con me. Sono convinta che anche chi all’inizio non era molto contento della nostra presenza si sia ricreduto.

Una delle frasi che ci sono state dette quando ormai era ora di salutarci e che mi rimarrà sempre nel cuore è: “Non avevo mai visto nessun ragazzo divertirsi in modo così sano”.

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