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Reportage: Cuba, una Rivoluzione che cade a pezzi

Aggiornamento: 31 mar

Marley Gede - La Redazione


Reportage da Cuba: l’isola caraibica che per molte persone rappresenta un ideale di giustizia e per altrettanti una dittatura è sull’orlo del collasso economico e sociale. Stritolata tra l’embargo e il regime, Cuba sta sperimentando il più grande esodo della sua storia.


Vivere a Cuba sta diventando sempre più difficile. L’isola sta attraversando una crisi spaventosa, forse meno violenta rispetto a una guerra ma che grava pesantemente sulla vita di tutti i giorni della popolazione. Non ci sono medicinali per curare le persone, nei negozi gli scaffali sono vuoti e gli alimenti vengono venduti a prezzi esorbitanti a causa dell’iperinflazione, i blackout sono in costante aumento a causa di una carenza nella produzione di energia e il popolo è allo stremo.

Il governo cubano continua a dare la colpa al blocco economico, l’embargo statunitense che affligge l’Avana ormai dall’indomani del trionfo della rivoluzione del 1959, una feroce guerra economica che gli Usa conducono verso Cuba da più di 60 anni, volta solo a procurare sofferenza alla popolazione per indurla ad abbattere il governo socialista. L’ Embargo ha effettivamente un peso rilevante sulla salute dell’isola impossibilitata ad effettuare scambi commerciali che sarebbero fondamentali. Che ci sia Washington dietro alla difficile situazione economica è innegabile, ma i problemi di Cuba vengono anche dall’interno.

La pandemia di Covid ha lasciato profonde ferite nell’economia; il turismo, pilastro del pil nazionale è crollato impedendo di fatto l’ingresso di preziosa valuta straniera nell’isola. Un duro colpo per un paese costretto a importare il 70% del proprio cibo. La produzione agricola è ai minimi storici, manca tutto quello che viene dall’estero per sostenerla, macchinari fertilizzanti e non solo per via dell’embargo. Nessun paese, neanche la Russia è più disposta a fare credito a un governo già fortemente indebitato e prossimo al collasso. Si fatica a trovare manodopera perché sottopagata, di fatto non si può contare sul proprio lavoro per vivere degnamente. Ci sono anche gravi problemi legati alla cattiva gestione del poco denaro disponibile che porta lo stato ad abdicare ai propri doveri di tutela e Welfare sociale.



farmacia a Cienfuegos
farmacia a Cienfuegos

Il regime comunista di Cuba è al punto più debole della sua storia, e il malcontento è alle stelle anche tra le fila di chi la rivoluzione l’ha celebrata o perfino combattuta.

Le manifestazioni antigovernative sono ormai cosa rara sull’isola, lo Stato non tollera il dissenso, non lascia spazio alle critiche e ha uno stretto controllo sull’informazione. I giornalisti di opposizione di fatto non esistono perché vengono arrestati o oscurati e internet viene sistematicamente bloccato ogni volta che si verificano episodi di malcontento in qualche città per impedire il dilagare della protesta. Considerata la presa repressiva delle autorità sulla società, è improbabile che il cambiamento possa avvenire dal popolo.

Nel mio viaggio itinerante attraverso l’isola, sono venuto in contatto con realtà e percezioni diverse.


Miguel, 85 anni, il sorriso non gli manca, lui che la rivoluzione l’ha vista trionfare indossa con fierezza il cappellino con la bandiera di una Cuba libera e sovrana. Dopo aver lavorato 65 anni per lo stato è in pensione. Riceve 1500 pesos cubani al mese, l’equivalente di un tubetto di dentifricio e vive in un edificio pericolante dichiarato inagibile ma che il governo non ha i mezzi per ristrutturare. Gli è stato diagnosticato un tumore alla prostata che non può curare.

Nonostante i medici cubani, siano il vero fiore all’occhiello delle conquiste della rivoluzione insieme all’istruzione, e nonostante i malati vengano curati gratuitamente dallo stato, le medicine restano introvabili se non al mercato nero. Tutte le mattine esce col suo bastone nel cuore dell’Avana vecchia dove va in scena la quotidiana lotta per la sopravvivenza. Nel sacchetto il suo paio di pantaloni buoni che cerca di scambiare con qualche pesos per poter portare in tavola almeno il minimo per sfamarsi. Nella capitale si percepisce nettamente la spaccatura popolo/Stato dove quest’ultimo viene considerato ormai come un nemico e dove in molti non hanno difficoltà a dichiarare “a quelli là in alto non gli importa niente di come viviamo qui sotto”.




Miguel ed io
Miguel ed io

Nella regione di Viñales, la campagna cubana, c’è chi parla del sistema statale come di Socialcapitalismo, un sistema ibrido: socialista quando lo stato pretende e capitalista quando c’è da redistribuire. Si pensi che un allevatore di mucche non può decidere di abbattere un capo per mangiarlo o rivenderlo, pena il carcere. Le mucche devono essere consegnate allo stato per coprire la richiesta di carne di manzo nei grandi alberghi dei turisti. I produttori di sigari devono destinare il 90% della produzione allo stato, faticando a trovare manodopera, non per pigrizia. Un bracciante che raccoglie foglie di tabacco sotto il sole dei caraibi sei giorni alla settimana guadagna 20 dollari al mese, lavorando a pancia vuota e senza riuscire a sfamare i propri figli. Bisogna essere disperati per farlo.

Ci sono poi realtà come la città di Santa Clara, cuore della rivoluzione, là dove il comandante Ernesto Che Guevara sembra poter comparire dietro l’angolo da un momento all’altro, dove nessuno, pur riconoscendo i problemi attuali e la mancanza di visione dei leader di governo, auspica un cambio di regime perché sarebbe come tradire tutti quegli uomini e quelle donne che sacrificarono la propria vita nella lotta per la libertà.

Infatti per chi della rivoluzione ha conosciuto solo le ristrettezze economiche non è così difficile disinnamorarsi del socialismo, voler voltare pagina e sognare Miami. Per chi invece, ha condiviso l’ascesa della rivoluzione e conserva la memoria di quello che è stato, è doloroso fare i conti con la Cuba di oggi.

In conclusione mi sembra chiaro che la via socialista di equità sociale non sta più funzionando perché il popolo, unico vero beneficiario delle conquiste della rivoluzione, è in grave sofferenza.

Mi chiedo cosa sarebbe stato del socialismo Cubano, se fosse stato libero di esprimersi e senza dover pagare un prezzo così alto.

Rimane il rammarico di non poter leggere nei libri di storia, quale sarebbe stata la sorte dell’ esperimento socialista in America Latina, senza le distorsioni dell’embargo e l’interferenza di uno stato ferito nell’ orgoglio della sua visione di dominio imperialista.


"Manca tutto, non ci resta che scappare!"
"Manca tutto, non ci resta che scappare!"

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