Marley Gede - La Redazione
Come nel "Viandante sul mare di nebbia", dobbiamo recuperare il rapporto intimo e mistico con la Natura.
In questo dipinto, del pittore romantico Caspar David Friedrich, realizzato nel 1818, l’uomo si fonde con la natura in un tutt’uno che celebra l’assoluto e rappresenta l’immagine ideale del rapporto uomo-natura che si esprime in un dialogo con l’infinito.
Dal dipinto emerge il senso di imperfezione e umiltà sperimentato dall’uomo nella contemplazione della natura in un viaggio interiore e spirituale che ci porta a indagare la nostra anima.
La natura è considerata come habitat ancestrale, fonte di nutrimento, energia, armonia e pace ma anche di pericolo. L’uomo si sente un nulla di fronte alla solennità dell’infinito, perso di fronte alla maestosità della natura, ma non può far altro che contemplarla alla ricerca di una interiorità e una spiritualità che solo lei può ispirargli.
Questo rapporto è cambiato nel corso della storia.
In passato si aveva una diversa percezione della natura. Per esempio nel Romanticismo l’uomo si confronta con l’infinità dell’universo, a cui sente di appartenere, e in cui può rifugiarsi per rigenerarsi, trasformando i conflitti in un’armonia superiore.
La società in cui viviamo ci ha portato invece ad assoggettare la natura, a trattarla come una proprietà materiale da manipolare e sfruttare come se l’uomo non ne facesse parte.
Nonostante ciò, negli ultimi anni si sta facendo sempre più strada la consapevolezza che l’uomo è parte integrante degli ecosistemi naturali e non posto a dominio di essi. Si sta diffondendo la necessità di avvicinarsi maggiormente alla natura autentica e selvaggia e di allontanarsi dalla società più artificiosa e avida, che rende l’uomo un essere dormiente, offuscato dalla continua ricerca di beni materiali che lo appagano in modo fittizio dandogli l’illusione della felicità.
La società - il Leviatano di Hobbes - per perpetuare sé stessa ci abbindola con falsi piaceri allontanandoci da noi stessi, creando una zona di confort in cui ci sentiamo sicuri e al riparo, ma propone modelli malati e produce esseri umani limitati che si aggrappano all’effimero perdendo di vista la totalità .
Ma per scoprire chi è, l’uomo deve necessariamente avventurarsi nell’ignoto, deve avere il coraggio di estraniarsi, per prendere la dovuta distanza dai modelli ereditati dalla comunità e decidere se confermarli o modificarli e ridefinirli seguendo il proprio sentire, per essere fedele a sé stesso ricercando la propria autonomia e indipendenza. Non tanto per diventare eremiti o ribelli, ma per costruire relazioni positive che non siano fondate sul bisogno di conferme (come quelle che ci dà il possesso).
L’uomo deve recuperare il suo stato di natura, quello stato in cui, per dirla alla Rousseau, gli uomini vivono “liberi, sani, buoni e felici”.
Così, l’eroico isolamento del viandante diventa il viaggio della vita umana e celebra uno stato d’animo di sgomento e piacere, che si percepisce quando subentra la consapevolezza della stupefacente grandiosità della natura, potenza irresistibile che induce a riflettere sulla propria condizione, consentendo all’uomo di unirsi al divino, di ritrovare la propria anima sepolta sotto vecchi meccanismi ormai consolidati, in altre parole per essere libero di esprimere sé stesso e la propria unicità.
È un’esperienza che vale assolutamente la pena di compiere, con risvolti tenebrosi e inquietanti che, tuttavia, è un mezzo potente per il raggiungimento del sé.