top of page

Il vero scopo dei Viaggi della Speranza in un'immagine

Azzurra Facchini 2ALS


“Il vero scopo dei Viaggi della Speranza”, questo il titolo del quadro, della fotografia o del fermo immagine che mi sono figurata e che cercherò di costruire e di condurvi a immaginare attraverso le mie descrizioni. Ho preso spunto dal titolo di un articolo contenente un'intervista che esplora le ragioni che inducono l’uomo a emigrare: in particolare, nell’articolo l'intervistata, si riferisce nello specifico a chi non fugge da situazioni estreme, ma al contrario alle masse urbane di centri poveri, che maturano l’idea di lasciare il proprio Paese per l’Europa.

Interessante è che facendolo cita la frase di un ambasciatore Senegalese : “”Da qui non parte gente che non ha nulla, parte gente che vuole di più””. L’idea, in questo caso, diffusa in Africa fra i membri del ceto medio che basti arrivare in Europa per godere del benessere economico, senza considerare però che dietro la ricchezza ci siano dei ben più gravi sacrifici, nasce negli emigranti con la realizzazione che dalla propria vita rimanga più da riscattare che da perdere (l’illusione di ciò è fra l’altro alimentata dai trafficanti di uomini, che gestiscono i viaggi verso l’Europa).  

Più in generale, prendendo in considerazione tutti gli emigrati, anche quelli che pur pienamente consapevoli di rischiare la propria vita si rendono conto di non avere più nulla da perdere, esiste una ragione comune a tutti questi uomini nella scelta di emigrare: un uomo emigra quando le speranze prevalgono sulle paure. Trovo questa riflessione rilevante perché alimenta il messaggio del dipinto che ho ipotizzato, il fine ultimo del mio ipotetico dipinto sarebbe infatti di creare un parallelismo fra le spranze e le illusioni degli immigrati.


Descrione dell’immagine (ipoteticamente un quadro):

Il dipinto a cui ho pensato non ha contesto ne temporale ne geografico, semplicemente è ambientato nel porto di una grande città, sul cui sfondo si intravede un grande mare, navigato e coperto di navi imponenti, il porto è animato da uomini, donne e bambini. Per mantenere tutto privo di contesto storico o geografico e ottenere un messaggio universale, i personaggi raffigurati sono vestiti in stile fine ottocentesco, tuttavia la protagonista del dipinto è di colore, il che può riportare alla libera interpretazione della passata “Grande immigrazione” degli Italiani in America dal 1885 (per i vestiti), come all’attuale immigrazione degli extracomunitari in Italia e Europa (per il colore della pelle della protagonista). Inoltre, per esprimere il messaggio del dipinto senza però poterlo disegnare accuratamente, ho pensato che un linguaggio raffigurativo legato alle simbologie potesse rendere meglio di quanto fa il realismo con l’espressività.

Sulla banchina del porto, in pieno giorno, è raffigurata una donna di colore elegantemente vestita, nell’atto di sbarcare da una nave e nel tentativo di “mescolarsi” fra la folla. Nel tentativo di non separarsene, ma pur sempre cercando di evitare scandali, la donna cerca di nascondere elemeti apparteneanti alla sua vita passata confondendoli con abbigliamento tradizionale del luogo che si è procurata durante il viaggio (da immaginarsi come un ingombrante vestito ottocentesco e stivaletti verniciati). Come tutte le altre rispettabili passanti porta un ombrellino parasole, però, la forma della copertura dell’ombrello a farle ombra è insolita: ricorda gli spioventi di un tetto, quello della sua vecchia casa e madre patria. 

Sposando poi lo sguardo verso il basso, anche l’ingombrante vestito a balze della donna presenta delle irregolarità;  un lembo della gonna, avendola indossata frettolosamente prima di sbarcare, è rimasto impigliato al corsetto, lasciando intravedere sotto alle balze la crinolina di acciaio (il sottogonna di ferro del 1800) somigliante in tutto ad una gabbia.  Al suo interno si intravedono volare moltissimi uccelli esotici e sbattere le ali contro le sbarre di acciaio della gabbia sotto la quale sono stati rinchiusi. Gli uccelli esotici (spunto preso da “Migrants not welcome” di Banski) sono la raffigurazione del luogo di origine della donna nelle proprie peculiarità, colori e fascino, e quindi possono essere interpretati come la sua identità culturale. L’identità culturale della donna è qualcosa di legato a lei per nascita, da cui mai anche se desiderandolo sarebbe in grado di separarsi. La sua identità le appartiene e non può lasciarsela alle spalle, tuttavia, per essere accettata nella nuova società, sceglie di chiuderla in gabbia e camuffarla sotto l’abito. L’abito al contrario è simbolo dell’apparente identità culturale del paese di destinazione; non è vivo, se lo è procurato ma non è parte di lei, la donna lo usa nel suo caso come travestimento da indossare per le apparizioni pubbliche di fronte agli occhi giudicanti della società .

Da precisare è che la scelta della donna di nascondere le proprie origini per essere tollerata -quando in realtà dovrebbe essere accolta e accettata per quello che è- non implica che queste siano rimaste legate a lei per forza, che lei non le desideri più e voglia lasciarsele alle spalle. A comunicare questa precisazione è una piccola serratura nascosta in un angolino della gabbia. Della chiave che la apre dall’esterno non sembra esserci traccia, se non, la sagoma di una piccolissima chiave si può intravedere sottocutanea sul petto della donna. La donna non ha semplicemente nascosto la chiave fra i vestiti, come tutto il resto di ciò che le appartiene, ma l’ha ingoiata, come spesso gli uomini ingoiano i sentimenti più malinconici e amari. Della chiave dall’esterno nessuno scorge tracce, proprio perché lei la nasconde dentro di sé, nel petto, nel luogo più vicino al cuore.

Infine, caratteristica più evidente ma che ho preferito lasciare per ultima, la donna incede su quelli che assomiglierebbero a due trampoli, ma sono in realtà due remi: i remi sono emblema della volontà, dei sacrifici, delle speranze riposte nel suo viaggio; i trampoli, fisicamente, la rendono notevolmente più alta del resto dei passanti, inducendola a guardare in alto al di là degli ostacoli, ostacoli tra i quali il più duro è la discriminazione. Con i suoi trampoli lei avanza guardando in alto, dritto davanti a se verso un futuro migliore, e non si cura del colore della pelle dei visi di tutti i passanti che, a sua completa insaputa, dal basso la stanno scrutando scandalizzati. Così l’immigrata viene illusa dal mondo di poter essere “tollerata” e sfuggire alle discriminazioni travestendosi con un’identità culturale  che non è la sua.

20 visualizzazioni

Post recenti

Mostra tutti

コメント


bottom of page