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Etty Hillesum: Memoria e Mistica

Aggiornamento: 1 mag 2024


Sofia Bello - La Redazione


“Nell’alba grigia di oggi, in un moto di irrequietezza, mi sono trovata improvvisamente per terra, in ginocchio tra il letto di Han e la sua macchina da scrivere, tutta rannicchiata e con la testa che toccava il pavimento. Forse un gesto per estorcere pace. E a Han che entrava in quel momento e sembrava un po' stupito di quella scena, ho detto che cercavo un bottone – ma non era vero”. Dal Diario di Etty Hillesum 


Etty Hillesum, donna vivace e sensibilissima a livello spirituale e sentimentale, da sempre cammina sulla terra attraversando un viaggio spirituale alla ricerca della bellezza creata dal suo Dio. Lentamente, sperimenta la presenza dell’elemento trascendentale in ogni aspetto della sua esistenza.  Così scrive nelle sue lettere: “Sappilo, Dio: farò del mio meglio. Non mi sottrarrò a questa vita. Continuerò ad agire e a tentare di sviluppare tutti i doni che ho, se li ho. Non saboterò nulla. Di tanto in tanto, però, dammi un segno. E fa’ in modo che esca da me un po’ di musica, fa’ in modo che trovi una forma ciò che è in me, che lo desidera così tanto.” (Dal libro: Il Bene Quotidiano. Breviario degli Scritti) 

Hetty nasce il 15 gennaio 1914 a Middelburg, in Olanda, da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica. Il padre, Levie Hillesum, è un insegnante di Lingue classiche. La madre, Riva Bernstein, nasce a Potsjeb, in Russia, da dove fugge in seguito ai pogrom. Come i due fratelli, Yaap e Micha, la vita di Hetty è improntata alla cultura, allo studio e alle buone letture. Tutti e due i fratelli sono sottoposti, ad un certo punto della loro vita, a cure psichiatriche; anche Etty ne rimane segnata.  «Un tempo la mia pittoresca famiglia mi costava, ogni notte, almeno un litro di lacrime disperate – annota Etty sul suo diario -. Ancor oggi non so spiegarmi quelle lacrime; arrivano da chissà dove, da un oscuro soggetto collettivo. Adesso non sono più così prodiga con questo prezioso liquido, ma comunque sia non è facile vivere qui».  

Anche il cibo è un problema, a tratti una vera e propria ossessione che le procura occasionali malesseri psicosomatici. Studia Lingue Slave e Letteratura Russa. Dà lezioni private, si appassiona alla chirologia e alla scrittura: vuole diventare scrittrice, a tutti i costi.  Scrivere per lei è una terapia, un tramite tra la sua mente e la realtà che la circonda. 

Mentre la morsa nazista si stringe sempre di più, la sua anima si rafforza. Non pensa mai a salvarsi. Rifiuta sempre le offerte di alloggi per nascondersi. Vuole stare con il suo popolo, con la sua gente, condividere un destino comune. 

Viene internata nel campo di raccolta di Westerbork con i genitori e i fratelli fino al 7 settembre 1943, poi, nell’ultimo periodo della sua vita ad Auschwitz, dove, come tutti, viene spogliata di ogni diritto e dignità. Ciò che succede dopo non lo sappiamo. Muore nel novembre 1943 riuscendo a vivere ogni istante della vita senza perdere il filo della propria umanità. 

Comincia un breve, ma intensissimo cammino spirituale durante il quale, lentamente e in modo fortissimo, sperimenta la presenza dell'elemento trascendente proprio nella concreta evidenza del suo corpo. A partire dall’anima, la preghiera vissuta in modo così fisico, proprio come la passione nell'amore erotico, diventa così un vero cammino di guarigione. Questo processo permette di restituire a questa giovane donna la speranza di ritrovare se stessa e di riguadagnare quel centro interiore attorno al quale riorganizzare e pacificare l'interezza della sua vita. 

“Ma quella sera, solo pochi giorni fa, ho reagito diversamente. Ho accettato con gioia la bellezza di questo mondo di Dio, malgrado tutto. Ho goduto altrettanto intensamente di quel paesaggio tacito e misterioso nel crepuscolo, ma in modo, per così dire, "oggettivo". Non volevo più "possederlo". Sono tornata a casa rinvigorita, al mio lavoro. E quel paesaggio è rimasto presente sullo sfondo come un abito che rivesta la mia anima - tanto per dirla con paroloni -, ma non mi impicciava più, non era più “onanismo".” (Diario, p. 58). La bellezza, per Etty Hillesum, è tutto ciò che il suo Dio ha creato. Non chiede di essere osservata, ma è presente in ogni luogo. Se la bellezza non chiede di essere contemplata, non vuole neanche essere posseduta. L’uomo infatti ha il brutto vizio di cercare altrove ciò che non ha e quando lo trova, cerca di possederlo con tutte le sue forze, perché pensa che possa portarlo alla felicità. Etty riesce a cogliere la bellezza proprio dove è più difficile da scorgere, come al di qua o al di là di un filo spinato. Il cielo che si staglia davanti a lei c’è sempre stato, ma ora Etty lo ha guardato. Se è vero che la venerazione di Dio nasce dalla contemplazione della bellezza allora, per scorgerla, bisogna avere una fiducia esistenziale nella vita. 

“Vorrei poter dominare tutto con le parole - questi due mesi tra il filo spinato sono stati i mesi più intensi e più ricchi della mia vita e una conferma dei valori più importanti e più alti per me. Mi sono così affezionata a quel Westerbork e ne ho nostalgia. E là, quando mi addormentavo nella mia stretta cuccetta, avevo nostalgia della scrivania a cui sono seduta ora. Ti sono così riconoscente, mio Dio, perché in ogni luogo mi rendi la vita così bella che ne ho nostalgia quando ne sono lontana” (Diario, p. 758). Tutti noi abbiamo conosciuto la stretta al cuore della nostalgia, e anche Etty ne sente la morsa. Ma lei parla anche di un’altra nostalgia, una nostalgia più forte che fa sì che il cuore cerchi conforto e dimora in qualcosa che non si trova pienamente da nessuna parte e, al contempo, si può trovare dovunque. 

Nella convinzione che la Vita sia un Tutto dotato di bellezza e significatività e che questa “professione di fede” valga anche in un campo di concentramento, Etty Hillesum impara a “benedire” la vita e a “sentirsi a casa” in essa. “Sempre e dovunque”

 

 

 

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