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Edward Mani di Forbici e la romanticizzazione della disabilità

Aggiornamento: 2 apr

Giorgia Verzeni - La Redazione


In questi tempi, spot pubblicitari, social e annunci motivazionali presentano numerosi elementi della romanticizzazione della disabilità. Con il termine poco conosciuto di “romanticizzazione della disabilità” o “ispirational porn” si intende l’idealizzazione di una persona disabile, da cui possono derivare pregiudizi verso di lei. 

“Porn” etimologicamente viene dal verbo greco “io vendo” e con l’aggiunta della parola “ispirazione” va a significare “mercificazione della disabilità” in maniera provocatoria. La parola viene utilizzata dai maggiori attivisti della causa della rappresentazione realistica della disabilità, come Marina Cuollo, esponente più celebre italiana, la quale combatte, con la sua attività di giornalista e content creator, quel sistema di pregiudizi noto con il nome di abilismo, una prospettiva escludente rispetto ai diritti della persona disabile, di cui la romanticizzazione della disabilità è una componente. 

Cuollo e altri hanno spesso sostenuto che lo slogan “Tutti possono fare tutto” allontani l’idea delle persone disabili come persone “normali”, con emozioni, pregi e limiti, che, invece, devono essere considerati nella progettazione delle attività a cui partecipano o di cui sono protagonisti. Il meccanismo per cui le persone disabili sono “idealizzate” porta ad una forma di “disumanizzazione”:  presentandola come un esempio da seguire e da cui trarre ispirazione, come uno straordinario eroe senza mantello, ne vengono nascosti i difetti.  

Le persone sottoposte a questo meccanismo sono considerate solo portatrici di bene e incapaci di compiere errori; non trova spazio l’idea che anch’esse siano uomini e donne dotate di difetti che possono essere esternati. 

Cosa succede, allora, nel momento in cui la personalità di un individuo con disabilità viene alla luce nella sua ambiguità - come del resto accadde a quelle di tutti, prese tra risorse e limiti – e commette un errore o compie azioni malvage? Si rompe il vetro della sua rappresentazione ideale e si può arrivare ad una sua ancor più dolorosa esclusione. 

La romanticizzazione della disabilità è un problema di cui si dovrebbe parlare ancora adesso, proprio per il semplice fatto che la società è ancora incastrata nell’idea che la persona disabile sia un elemento da proteggere solo quando non sbaglia mai, ma che, nel momento in cui lo fa, giustifica la cattiveria e malignità che gli si riversa contro. È un processo sociale lento e travagliato, che dovrebbe partire dall’espulsione dei pregiudizi collettivi e dal potenziamento della comprensione e curiosità verso il prossimo. 

Un esempio di quali esiti negativi possa avere il processo di romanticizzazione della disabilità può essere il film “Edward mani di forbici”, dalla regia di Tim Burton, che in tutta la sua carriera, partendo dal primo cortometraggio stop-motion mai prodotto dal regista, “Vincent”, ai film più celebri e recenti, ha messo al centro della sua “visione" la stranezza e la non-conformità. Il protagonista di questo film può essere considerato il simbolo della disabilità fisica o di neurodivergenze, come l’autismo, all’interno dei film prodotti dal regista. 

Edward, infatti, catapultato in una realtà piena di convinzioni rigide e conformistiche, cercherà di adeguarsi ad un ruolo che possa garantirgli un’integrazione a livello sociale, ma finirà per essere una creatura emarginata, considerata mostruosa in quanto diversa e giudicata pericolosa a causa delle sue mani che, purtroppo, non ha scelto di avere. 

Il protagonista, trovato dalla signora Peggy Boggs in un angolo remoto della città dove vive isolato dopo la morte del suo “creatore”, all’inizio della pellicola è considerato come un “trofeo”, attraente per la sua diversità per alcune donne, vicine di casa della signora Boggs, rappresentante Avon di mestiere, che lo ha adottato temporaneamente.  

Un uomo mutilato di guerra, che abita nello stesso quartiere, vedendolo spaesato, lo rincuora, mostrandogli come, sebbene anche lui inizialmente considerato diverso ed emarginato per la sua non-conformità, abbia accettato la sua condizione, non dando più peso alle critiche, superando il fastidio verso il disagio che la sua presenza provocava negli altri: è lui a consigliare al protagonista di fare la stessa cosa, non lasciarsi fermare dai pregiudizi e lottare contro di essi. 

Edward lo ascolta con un’aria confusa, non tanto perché sia incapace di comprendere le sue parole, ma perché è sempre vissuto con la sua “stranezza”, nell’ombra, senza accorgersi che la sua forma era diversa da quella della maggioranza. 

Notando che le sue mani possono fare cose magnifiche e coltivando le sue qualità, non facendo caso ai suoi difetti e non prevedendo la pericolosità delle sue mani, Edward inizia a tagliare le siepi all’interno del quartiere, poi i capelli alle donne e il manto ai cani. La sua abilità lo trasforma in un eroe: diventa “quello che ce l’ha fatta anche se diverso”. Si distingue come uomo tenero, gentile, anche se dotato di una caratteristica pericolosa e difficile da gestire.  

È allora che per un tragico errore, non dovuto alla sua sola responsabilità, il ragazzo diventa “lo stupratore” delle donne da cui era precedentemente corteggiato, pericoloso per gli animali che tosava e per le donne a cui tagliava i capelli. D’un tratto, le caratteristiche a cui le donne e gli abitanti del quartiere non avevano fatto caso diventano un macigno che grava su di lui, verso cui tutti provano paure infondate. Ma quelle forbici son sempre state lì, sotto gli occhi di tutti! 

Edward commette poi un altro errore: per salvare un ragazzo da un incidente d’auto, lo spinge verso il marciapiede e per assicurarsi che stia bene, nel panico generale della situazione, inizia a graffiargli il viso, provocandogli tagli profondi. A quel punto il ragazzo diventa una vera e propria minaccia: vengono allertate le forze dell’ordine per sopprimere la minacciosa creatura, senza che qualcuno si domandi davvero la ragione per cui un’azione così grave e dannosa sia stata commessa.

Nessuno pare soffermarsi sulla condizione di shock e paura di Edward in quel momento. Nemmeno l’uomo che lo aveva inizialmente supportato lo difende: viene meno l’affetto che Edward ha sempre desiderato. La pellicola si conclude con la fuga verso la parte remota della città in cui era stato trovato: un poliziotto finge di sparargli lasciandolo scappare.  

Sin dalla nascita, siamo educati dalla società a guardare il diverso in modi contrastanti. A volte ci si sofferma sui suoi modi impacciati, che possono però essere determinati da condizioni come l’autismo, ma anche condizioni come bipolarismo o disturbo borderline, o ancora malattie genetiche che non possono essere cambiate.  

A volte il diverso è scrutato con una tenerezza distaccata (chissà che qualcuno non ringrazi il destino di non aver avuto un figlio così..), è considerato persona sfortunata che ha bisogno d’aiuto. Ma chi lo aiuta davvero? Chi lo include veramente nei gruppi, nelle uscite di classe e alle feste di compleanno? Esiste anche una forma egoistica di inclusione, lo si fa per sentirsi meglio con sé stessi, dimostrando un’ingiustificata superiorità morale, non un reale interesse: tutti vogliono stare bene con sé stessi, tutti vogliono fare azioni giuste per sentirsi giusti. Ma nessuno è totalmente “bene” o “male”, ogni uomo è diviso in queste due metà distinte, ma mescolate tra loro

Quando gli errori sono compiuti da persone su cui già grava il pregiudizio del “diverso”, raramente si considera che essi possano essere stati compiuti anche in momenti di incoscienza o delirio, fasi maniacali come nel disturbo borderline di personalità, in cui il controllo delle emozioni è difficile, o anche solo perché si voleva ferire e basta. Perché si sbaglia. Nessuna persona è sempre “ispirazione per tutti”, “eroe”, come invece si dice e scrive in caso di successo (sportivo, pubblico..). Il rischio è che gli “eroi” che cadono passino dall’essere “più innocenti e meritevoli di considerazione” a “più colpevoli e più riprovevoli” degli altri. 

Per invertire la rotta, ci vorrebbe più curiosità vera verso il prossimo, non pregiudizi, esclusione e odio. Ci vorrebbe più tolleranza, più attenzione alle situazioni, più bene.

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