Prof. Pedrazzi
Riflettiamo. 100 anni fa nasceva Don Milani. Non si può cominciare questa riflessione senza guardare a quella figura incredibile che ci ha detto, senza giudicare o schierarsi, che la Scuola deve evolversi e che noi insegnanti abbiamo ogni giorno l’occasione di scoprire la bellezza del nostro lavoro e la meravigliosa chance di avventurarci su nuovi sentieri per guidare i nostri ragazzi verso il loro futuro.
Don Milani, lontano nel tempo, in un contesto storico sociale particolare, forse ormai desueto. Ma è davvero così? Il suo messaggio si è perso nella nebbia dei ricordi? Oggi tutto è cambiato. Mi piace pensare Don Milani oggi. Si troverebbe una scuola inclusiva, senza più differenze oggettive nel percorso didattico; in fondo tutti hanno accesso allo studio; se poi qualcuno lascia dopo i 16 anni, per lo più è perché non aveva voglia ed è sembrato meglio avviarsi al mondo del lavoro più gratificante e più produttivo. Don Milani oggi avrebbe un ruolo di assistente sociale e non di docente. Sottovoce si pone una domanda: i docenti cosa rappresentano? Non è vero che sempre più spesso agli insegnanti è richiesto un ruolo di sostegno, nel senso più largo del termine? Qui Don Milani nella sua energia inconfondibile avrebbe risposto con una ulteriore domande: Che differenza c’è?
Questa ultima riflessione è la più intrigante, che spesso viene trascurata. Il ruolo del docente in una società così articolata. È il punto focale della discussione nella quale ci si trova e che non riesce a determinare una linea comune nel vasto mondo dei docenti, legittimamente ognuno offre un suo personale punto di vista e costruisce un percorso di docenza e didattica differente. Non c’è una verità assoluta, quasi come se Pirandello gridasse prepotentemente che un oggettivo progetto non esiste e diventa nessuno alla fine della strada.
La mia opinione, non assoluta e senza pretese, è che qualche punto di riferimento alla Don Milani sia possibile. Non è estraneo a noi docenti che ormai nel mondo il sistema scuola stia muovendosi verso nuove direzioni. Sarebbe bello scomodare pedagogisti o innovatori come Steiner o Montessori, o addirittura le scuole del resto del mondo, ma in fondo risultano mondi un po’ di nicchia. Da diverso tempo studio per sfizio mondi didattici altrettanto strani, ma in fondo realizzabili, anche in Italia. Il presupposto è quello di rendere possibile un’altra scuola, ma senza devastare la nostra storia didattica, che non credo sia sbagliata, ma che, come tutto, ha bisogno di evolversi. Mi vengono in mente la Scuola senza zaino, ormai diffusa in molti istituti in Italia, senza dimenticare alcune scuole europee, che hanno provato a costruire un percorso differente o istituti che hanno creato un piano di studi nuovo e più adatto agli studenti, con orari flessibili e spazi diversi dall’aula tradizionale. Ovviamente non è compito di questa riflessione rivoluzionare il nostro modo di insegnare, ma tutti questi modelli sono forse una traccia sulla quale muoversi. Come possiamo rispondere alla esigenza che gli studenti ci propongono, come in fondo i ragazzi di Don Milani chiedevano già un secolo fa? Cosa significa che uno studente richieda una maggiore empatia da parte del docente? Quando la scuola autorevole ha smesso di accompagnare il discente nella sua maturazione? Perché ci urta così tanto rapportarci con i giovani senza risultare coinvolti nella loro vita?
Domande che non hanno in sé una risposta evidente. Consideriamo infatti che lo studente ha una sua peculiarità e che non è semplice determinare un percorso univoco per ognuno di loro. Quest’anno, come detto in apertura, cade il centenario di Don Milani. Ha davvero posto la scuola in una dimensione tanto distante dalla nostra, al netto ovviamente del periodo storico? Riflettiamo, come detto all’inizio. Soffermiamoci per un istante sul motto caro a Don Milani: I care. Ho provato a immaginare come questo punto fermo possa essere d’aiuto al nostro mondo scolastico oggi. I care ha mille sfaccettature: può volere dire Mi preoccupo, Sto attento a, benché il senso per Don Milani avesse una accezione ben più intensa. Chi deve preoccuparsi di chi? Lo studente dell’insegnante o l’insegnante dello studente? È inevitabile che noi docenti ci si ponga in una sfera autorevole e si cerchi di mantenere la quarta parete didattica per consentire agli alunni di apprendere? O forse lo studente dovrebbe accettare l’autorevolezza per comprendere meglio ciò che lo aspetta al di fuori del nido scolastico? I care significa per Don Milani il prendersi la responsabilità, il dedicarsi a, senza permettersi di non esserci, con atteggiamenti superficiali. Proviamo a trasferire questa semplice verità al giorno d’oggi e tracciamo un patto educativo che rispetti l’autorevolezza e scalfisca la quarta parete del sapere a favore di un incontro più significativo.
Basterà forse dire ogni istante I care, io mi dedico a te e mi prendo la responsabilità di aiutarti a crescere? Sarà sufficiente ogni tanto fermarsi e sorridere, ascoltando ciò che passa per la testa dei nostri studenti? Abbiamo la forza di lasciare il sentiero autorevole per sederci in una radura e non preoccuparci di quando arriveremo alla meta? E gli studenti ci daranno la possibilità di camminare e orientarli quando lo riterremo opportuno? Saranno capaci di sedersi con calma ad apprendere? Se non ricordo male Don Milani ha ottenuto risultati importanti, anche se il suo metodo può certamente essere considerato imperfetto e a volte antico. Non sono ricette infallibili, sono semplicemente domande e provocazioni che Don Milani un secolo fa ci ha lasciato.