Matteo Cricri - La Redazione
Il 18 gennaio in occasione dell'inaugurazione della mostra sull'occupazione italiana in Libia allestita nell'atrio della nostra scuola lo storico e ricercatore Costantino Di Sante che ha introdotto temi quali la Memoria, le zone di ombra della storia italiana e l’importanza di essere cittadini consapevoli, ha rilasciato una breve intervista ai nostri microfoni.
Molti studenti di questa Scuola si trovano nel momento cruciale in cui devono scegliere il percorso che poi intraprenderanno nella vita. Lei quando ha capito che la Storia era la sua passione, e che percorso ha poi deciso di intraprendere.
“Grazie per questa domanda. Mio nonno, che ha avuto un’esperienza abbastanza difficile sia nella prima guerra mondiale che nella seconda, mi ha tramandato la passione per la Storia. Nella prima guerra mondiale è stato mobilitato giovanissimo, a 17 anni, ed è stato mandato sul fronte del Carso, dove ha vissuto il dramma della guerra, ha visto molti compagni che non sono più tornati e altri che, fatti prigionieri, sono tornati dopo molti anni, spesso mutilati. Lui era un profondo pacifista.
Mi ha raccontato anche dell’occupazione nazista sui nostri territori, della Repubblica Sociale e, in particolare, dei Tedeschi. Con la sua testimonianza, i suoi ricordi, mi ha trasmesso questa passione per il contesto storico.
Ho poi avuto la fortuna di incontrare insegnanti che mi hanno segnato (perché è questo che un’insegnante deve fare) e guidato nel percorso facendomi appassionare ai temi della Storia Culturale e Sociale del nostro paese.
In realtà, inizialmente, volevo fare l’archeologo, provenendo da un territorio in cui si trova una delle metropoli picene più importanti, ma vari accidenti di una vita, in particolare la lettura del libro di Primo Levi Se questo è un uomo e quindi la volontà di capire come si potesse arrivare a tanto, mi hanno spinto ad intraprendere questa carriera da ricercatore.”
Grazie per la risposta. Lei è uno scrittore molto prolifico. Nel 2022 è uscito "Area Bombing", nel 2023 "il Piceno in camicia nera", adesso è in uscita il libro ""Materiale Umano, una raccolta di testimonianze di persone che hanno vissuto il terzo Reich. Come sceglie i temi per i suoi libri e poi come li sviluppa?
“Un po’ è la passione a segnarmi la via, altre volte, invece, è la fortuna. Io sono un topo da archivio, sono rimasto dell’idea che la storia vada fatta sulle fonti, in particolare quelle d'archivio, e proprio in archivio in tante occasioni ho cercato e trovato, scoperto e affrontato storie scomode o che comunque io ritengo sia importante far riemergere. Uso molte fonti primarie, principalmente i documenti: li interpreto, li incrocio con altri documenti.
Gli ultimi lavori sono stati il frutto di ricerche di lungo periodo che, in parte a causa del Covid che mi ha impedito di andare in archivio, in parte per altre contingenze fortunate (bisogna trovare risorse e qualcuno che ti pubblichi il libro, degli editori veri, che in Italia sono sempre meno), si sono accumulati e sono usciti tutti nell’ultimo periodo. Solo per le monografie, in realtà, è stato così, perché saggi e interventi non ho mai smesso di farli.
Se dovessi sintetizzare ciò che mi interessa parlerei però di spostamenti coatti di popolazioni. Deportazioni, profughi, migranti, coloni, sfollati, è questo il fil rouge della mia produzione, anche dal punto di vista di quanto questo condizioni l’esistenza di chi affronta questa scelta, spesso costretta.
Noi giustamente ci soffermiamo sui campi di concentramento, ma anche guardando al Novecento tutto, come dice anche Zygmunt Bauman, troviamo una Storia segnata dai campi profughi, che continuano ad esistere tutt’oggi. È questa la chiave di lettura di molte mie ricerche."
Ultima domanda e poi la lascio libero. Durante l’intervento di oggi ha parlato molto dell’importanza della divulgazione e quanto abbia a cuore questo tema è dimostrato dalla mostra che ha allestito in questa scuola e da tutti i libri che ha pubblicato. Eppure, mentre facevo ricerche su di lei per preparare quest’intervista, ho notato che non ha profili social, nonostante quello dei social media sia il linguaggio per eccellenza di molte generazioni (tra cui la mia) e quindi forse lo strumento più adatto alla divulgazione. Perché?
“Per tanti motivi. Forse fa un po’ parte della mia natura, sono riservato. Dall’altra parte non è vero che io non divulgo: ho collaborato con molti siti, ho fatto molte ricerche utili alla Public History, termine che a me non convince (per gli anglosassoni è un’altra cosa, rispetto a ciò che intendiamo noi) e che definirei più un uso pubblico della Storia da condividere.
È lì che tento di incontrare il potenziale lettore e chi mi vuole conoscere. Anche questa mostra, che è stata allestita più di 40 volte, mi ha permesso di incontrare molte persone, così come sta accadendo ora.
I social media sono fondamentali, ma sono anche un modo troppo superficiale di fare divulgazione. Forse anche la mostra è un modo superficiale di catturare l’attenzione delle persone, però ci devi andare tu e non ti deve raggiungere un algoritmo, questa è l’altra grande differenza.
Stiamo vedendo anche che l’utilizzo dei Social, un’agora virtuale, è importante per ottenere informazioni, ma poi nella condivisione, secondo me, ci limita, proprio per il modo in cui sono strutturati. Sono loro che indirizzano te e non tu che decidi dove andare. Invece se vuoi venire a vedere la mostra devi venire qui con me e ce la guardiamo insieme.”
Grazie per il suo tempo e buona giornata