Alice Scognamiglio 4B LL
Il bullismo è uno dei temi che viene maggiormente affrontato all’interno della scuola. Ricordo che già alle elementari eravamo tenuti ad ascoltare ore e ore di convention su questa tematica, tanto che ad un certo punto ne eravamo saturi. Non mi stupirei, quindi, se un ragazzo del quinto anno mi dicesse che non ne può più a sentirne parlare.
Purtroppo non è così per chi ha vissuto sulla sua pelle il bullismo.
Per quelli come me, non è mai abbastanza. Non è mai abbastanza perché conviviamo con la paura e l’ansia che possa riaccadere, o peggio, che accada alle persone alle quali teniamo.
Ho un fratellino di 11 anni che quest’anno ha cominciato le medie ed è molto buono e innocente, perciò il terrore che qualcuno dei suoi compagni possa fargli del male è sempre latente nel mio cervello, soprattutto con questa nuova moda che nomina come più “fighi” coloro che vogliono fare i gangster, ma che definirei più prepotenti annoiati.
Non trovo giusto dover convivere con questa paura, ma non posso farne a meno dato che, seppur a mio avviso sono diminuiti, i casi di bullismo persistono.
Il bullismo è per definizione un atto che si ripete con frequenza constante; ciò non significa però che insultare, deridere, “fare uno scherzo” a qualcuno una sola volta non sia un atto errato. Credo che ad oggi non si sia ancora compreso il valore delle parole e quanto esse possano ferire o aiutare.
Avete mai provato a mettervi nei panni di una vittima di bullismo?
Cast Away è un film del 2000 il cui il protagonista, unico sopravvissuto in un disastro aereo, si ritrova su un’isola deserta dove passerà ben quattro anni in completa solitudine.
Posso assicurarvi che ci si sente così: alla deriva, dispersi in un mare composto dalla prese in giro, dagli insulti, senza speranza di essere salvati, soli.
Ero solo una bambina quando quotidianamente mi veniva detto fossi troppo chiacchierona, curiosa, ma soprattutto grassa. Non credevo che ciò avrebbe avuto conseguenze sulla mia persona, dato che tutto sommato non ricordo la mia infanzia come infelice, e sono sicura che neanche i miei compagni di classe fossero cattivi.
Gli effetti degli insulti, invece, ci sono stati: per anni ho sentito le venti voci in testa degli stessi bambini che mi dicevano in mensa che avrei fatto meglio a non mangiare. Erano con me mentre fissavo un piatto di pasta o mi guardavo allo specchio, così sono finita a non voler più mangiare, a credere che 200kcal fossero eccessive per un solo pasto. Fissavo il mio riflesso e pensavo solo che avevano ragione.
L’inizio della fine parte da qui, dalla convinzione che cominci a pensare che sia colpa tua e che te lo meriti, quando, ovviamente, non è mai colpa nostra, è colpa di chi sceglie di essere cattivo per esorcizzare un suo dolore nascosto.
Non si riesce, di conseguenza, neanche a chiedere aiuto: se merito ciò che mi stanno facendo o dicendo, cosa dovrei dire ad una terza persona?
A chi soffre di bullismo vorrei dire che nessuno di quegli atti malvagi, che lasciano un segno scuro nell’anima, viene dimenticato. Proprio per questo è necessario parlare di ciò che avviene e, quindi, chiedere aiuto; reagire non è sintomo di debolezza, ma, al contrario, segno di forza interiore.
Vorrei infine chiedere di riflettere sul peso delle parole: ogni volta che state per aprire le bocca, interrogatevi sulle conseguenze di ciò che dite avrà. Vale la pena davvero fare del male a qualcuno? Onestamente, le persone che mi spaventano di più sono quelle che rispondono “Sì” a questo quesito.
Chi sceglie di essere crudele, scagliandosi contro chi reputa più debole, non ha futuro e non è il futuro.