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Contest di Poesia: Prima Edizione

Aggiornamento: 19 giu

Sofia Bello - La Redazione

Quest’anno la redazione di Origami ha lanciato la prima edizione del contest poetico del Severi-Correnti, aperto a tutti gli studenti appassionati di poesia, scrittura e musica. Le opere sono state selezionate da una giuria dalla redazione e pubblicate proprio qui sul giornale!  

Il vincitore potrà ritirare il proprio premio in Redazione, giovedì dalle 14.30 alle 16.30


E ora passiamo al vincitore, anonimo! Con la poesia: Poeta scollegato  

 

Poeta scollegato  

Amata poesia scollegata la mia, 

Inetto con la china, 

Metto tutto in rima,  

Ma non so più quale filone sia. 

 

Caduto dalla cima delle mie parole son volato via. 

Al margine, della vita mia, ho voluto la rivoluzione, non le braccia di Maria, 

La voragine nel canuto cuore riempito con una penna ria. 

 

Io scrivo per bisogno, 

Scrivere è il mio sogno. 

Palpito sul pulpito, non mi ci pongo 

La matita punge da pungolo e col pudore non mi pungo. 

 

Il mio lido è uno stagno 

Bianco e santo, di fango mi ungo 

Mi ci immergo e non mi bagno, 

Piango e canto ma vivo mi fungo 

(Anonimo) 

 

Oltre a questa bellissima poesia ce ne sono arrivate anche altre che meritano senza dubbio di essere lette:  

 

Baciami altre mille volte  

Baciami altre 1000 volte, 

Finché le nostre labbra 

Come il mio amore, 

Non si saranno consumate. 

Finché i miei sogni  

Non placheranno l’immagine 

Della tua figura. 

Finché il mio cuore  

Non soffocherà  

Tra i miei sospiri 

(Anonimo) 

 

Che fatica 

Strofa1 

Che fatica restare in piedi 

Vuoi fermarti ma non ti siedi 

Consolarti dopo che hai perso una grande partita 

Che fatica parlare di vita 

Che fatica asciugarsi le lacrime dopo che lei ti ha risposto di no 

Che fatica ascoltare gli insulti 

Che fatica apprezzar ciò che ho. 

Quanto è difficile andare a dormire pensando che non hai più niente da dire ma al massimo puoi solamente accettare tutta la sfortuna che dovrai Incontrare e mai niente ti basta 

E ora basta con le vostre solite ideologie 

Che per esser migliore, devi essere in grado di fare magie. 

Non puoi competere con tutti gli altri perché sei inferiore, passano ore 

Ma ancora non riesco a capire che sogno vorrò intraprendere in vita 

Ma se c'è una cosa che sono riuscito a capire, è che farò fatica. 

 

Strofa2: 

Che fatica verbalizzare 

Con chi non ti vuole ascoltare 

Che fatica sopportare il dolore 

Bianco e nero, questo è il mio colore 

Che fatica scalare montagne se purtroppo indossi dei tacchi ai tuoi piedi 

Che fatica rialzarsi quest oggi, se ripensi agli errori di ieri. 

Che fatica iniziare a capire che non sei più un bambino 

Ma che stai crescendo, e che il mondo dei grandi è sempre più vicino 

Ma questo mondo tu guardalo sempre con gli occhi di qualche anno fa perché sembrerà tutto quanto bellissimo e apprezzerai tutte le novità. 

Che fatica trovarsi gli amici 

Quelli veri non quelli a cui dici 

Che faresti di tutto per loro 

Ma che ti tradiscono per arrivare per primi al tesoro 

Che fatica capire l'amore Che fatica stare sempre bene 

Che fatica sentire il dolore 

Ma sarà facile far tutto ciò, se con qualcuno starai sempre insieme. 

(Anonimo) 

 

Primavera 

La primavera di bianchi fiori si colora e profumo di rose e margherite si odora. 

Un rosso ciliegio mi ricorda la spensieratezza ormai persa, da piccola giocavo con le ciliegie e grossi orecchini creavo, ed ora smarrita la creatività le assaporo senza gioia. 

Un nuovo inizio si affaccia e rinchiusa in stanza, dalla cupa finestra osservo nuove vite sbocciare. 

Via i cappotti e le giacche, con le nuove magliette ferite pulsanti sulle braccia lasciano il segno. 

Un nuovo anno, una nuova primavera, una nuova me, nuovi obiettivi, ma sempre la stessa storia che mi perseguita. 

Mentre tutto si colora d’arcobaleno, io mi tingo di nero. 

(Di Ginevra Tranquillo Veronese)     

 

Regina lunatica della Luna 

Grandinasti giù dal cielo, angelo niveo dal pelo nero, piumata lupa. 

Regina lunatica della luna, hai stretto la mano, ho finito l'aria. 

Edonismo, il tuo, mi specchiava eristico, un microbo inutilissimo. 

Tentacoli, i capelli tuoi, mi attirarono, la nuca avvinghiarono, accompagnandomi alle labbra tue un bacio più vero della morte bramarono. 

Ti temmi. Tramutasti in mefitica, mi scagliasti nel baratro della tua pupilla, una roccia appuntita, grigia e tetra, corva, da che eri foglia diventasti pietra. 

O luna smorta, torva e bieca, sotto la coperta, oltre la finestra, ti ho ammirata piena.  

Fosti un faro nella notte nera, cerco ancora la tua riminescienza infuocando una candela, martire, piangendo lacrime di cera 

(Anonima) 

 

Il gelato caduto 

La scena sembra accadere a rallentatore, il gelato cade come neve sul marciapiede. 

Resti immobile a fissare il tuo gelato, poi decidi di alzare lo sguardo e con un’espressione bieca osservi il moccioso. 

Non sarà stato più alto di un metro e cinquanta, aveva un viso smorto come uno zombie e sparuto come se non mangiasse da giorni, io al contrario ero vigoroso e pingue. 

Il ragazzo con un movimento celere corse verso l’altro lato della strada, non feci neanche in tempo ad inseguirlo che era sparito tra la folla rumorosa. Lo apostrofai con una ramanzina a squarciagola e pensai affranto al mio povero gelato, ormai schiacciato e sciolto sul marciapiede. 

Come avrei fatto ora? Avrei potuto scoccare il mio sguardo sagittabondo al gelataio per avere un altro gelato, oppure comportarmi in modo bislacco e qualche buon anima mi avrebbe regalato 2 euro. 

Meditabondo ripensai al gusto di quel gelato, gianduia con la sua croccantezza, per non dimenticare la crema chantilly con la sua dolcezza e la morbidezza sul palato. 

Il freddo del gelato mi sarebbe sceso in gola e avrebbe soddisfatto il mio insaziabile bisogno di rinfrescarmi. L’odore del gianduia era simile al cioccolato, ma meno intenso e il colore era decisamente più chiaro, come marrone chiaro. 

Mi risvegliai dai miei pensieri, e ancora intorpidito mi diressi affranto verso la gelateria ed entrai come un ladro furtivo. Osservai ogni gusto dalle creme fino alla frutta, e mentre sconsolato stavo per andarmene, vidi il moccioso sbadato che gustava un gelato. 

Con passi grevi raggiunsi il giovane infido, lo salutai sadico e urlai con un monito “Al ladro!!”, lui mi guardò smarrito e provò a fuggire, ma io stavolta fui più svelto gli diedi uno spintone e feci scivolare il suo gelato a terra. 

Risi in modo pleonastico, mentre il moccioso scoppiò in un fiume di lacrime. 

Vedendolo così mi vergognai di ciò che avevo fatto, in fondo era solo uno stupido gelato, lo guardai magnanimo e capii di aver commesso un granciporro. 

Mentre lui piangeva come una fontana, andai verso una donzella sgarzigliona con un linguaggio saccente e con sollecitudine le raccontai in modo artefatto e le spiegai che quel ragazzo aveva appena comprato un gelato per la mamma con gli unici risparmi, la giovane mostrò molta compassione e comprò un nuovo gelato. 

La ringraziai e regalai il gelato che tanto avevo aspirato al moccioso. 

Lui mi guardò torvo e con un turpiloquio scappò via, facendosi beffa di me “Ahahah questo stupido mi ha comprato un gelato”, e fece una linguaccia. 

Rimasi sconcertato e riluttante se disperarmi o rincorrerlo.  

Da quel giorno mi tenni stretto il mio gelato e non lo regalai mai a nessuno! 

(Di Ginevra Tranquillo Veronese)     


Sguardi persi ed occhi vuoti.

Occhi persi nel vuoto che rappresentano una mente tutt’altro che vuota. Menti che formulano pensieri contorti che rimarranno per sempre in quell’abnorme posto fino a cadere nel vuoto. 

Occhi stanchi perché già da un po’ la notte non riescono più a chiudersi. 

Molto spesso mi chiedo perché la vita non possa essere un linea dritta, senza curve, senza emozioni e di conseguenza senza sofferenza. Perché non possa rimanere tutto come quando hai 5 o 6 anni in cui, sì, mamma e papà litigano violentemente in cucina, ma tu continui a giocare con le macchinine nella tua cameretta e di lacrime non ce n’è neanche l’ombra. 

I miei occhi vuoti che si riempiono quando vedono la mia immagine riflessa nei tuoi di occhi. 

Occhi vuoti che si colmano di lacrime che solo tu sai farmi versare. 

Occhi vuoti che si riempiono di allegria quando mi affaccio alle scale e ti vedo prendere l’ascensore per venire verso me. 

Occhi persi in grandi gruppi di amici apparentemente felici. Occhi che nel gruppo si riescono a perdere. Occhi che, quando tutte le altre pupille sono ridenti, nascondono pupille lucide. 

Occhi che nascondono il senso di non appartenere a nulla, il senso di essere inadeguati ovunque si sia. 

Perché è impossibile sentirsi appartenere a qualcosa quando non si appartiene nemmeno ad una famiglia, nel vero senso della parola. 

È impossibile sentirsi adeguati se anche da piccolino pure mamma e papà ti facevano sentire il terzo incomodo durante le loro imbarazzanti litigate. 

Il mio sguardo perso che ti cerca disperatamente in mezzo a migliaia di sguardi, ma che non ti troverà mai perché ormai ho imparato che anche se ci sei sempre per gli altri, il bene che fai non tornerà mai indietro.

(Eleonora Borghi)


Esiste una droga,

più forte di eroina e cocaina, più forte di qualsiasi tipo di alcolico, di qualsiasi agente naturale. Questa droga prima o poi la vivremo tutti, ma ci sarà chi, come in tutto, se ne disintossicherà, e chi dal momento in cui la prova non ne  potrà più fare a meno. Si chiama Amore. Amore, una parola che ho paura di scrivere, una parola che solo pronunciarne le prime sillabe ti spaventa trasmettendoti un brivido che partendo dalla lingua arriva fino al tuo cuore.

Per me questa droga è il tuo sguardo, i tuoi occhi distratti, i tuoi occhi che non mi guardano mai, ma in cui io mi perdo. La mia droga è il ricordo che ho di te. Delle serate in cui ci scrivevamo e delle mattine in cui mi svegliavo pensando a te. Il ricordo della paura, della paura che vicino a te ci fosse già un’altra, e che prima o poi sparissi e non tornassi più. Il ricordo delle nostre conversazioni che iniziavano con un come stai e finivano in inutili litigate da ragazzini.

Ma oramai di questa droga mi resta solo un’ultima striscia stesa sul tavolo, un’ultima iniezione già inserita nella siringa, che come un drogato a cui non resta più nulla, costudisco con grande cura.

E forse sì avrei dovuto ascoltare chi mi diceva che eri una perdita di tempo,ma in fondo si sa, sono autolesionista.

 (Eleonora Borghi)


 

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