Matteo Cricri - La Redazione
“C’è ancora domani”. Sì. Ma è oggi che dobbiamo agire.
Al suo esordio alla regia Paola Cortellesi (che in questo film è anche attrice e sceneggiatrice) confeziona una pellicola che vince al botteghino (19 milioni in 5 settimane) e convince la critica.
Delia (Paola Cortellesi) è una donna di una famiglia proletaria del dopoguerra, moglie del violento Ivano (Valerio Mastandrea) e madre di una figlia, Marcella (Romana Maggiora Vergano), che la disprezza perché incapace di ribellarsi ai pugni del marito.
“C’è ancora domani” racconta la sua storia, a metà tra il dramma e la commedia, costruita a partire dai racconti dei nonni e bisnonni (e nonne e bisnonne) di Paola Cortellesi.
La fotografia è in bianco e nero, il formato in 4:3, a citare i film neorealisti che tanto bene hanno raccontato quell’epoca e che passando in TV hanno segnato l’immaginario di un’intera generazione: così la Cortellesi si immaginava gli aneddoti dei suoi nonni come lei racconta in un’intervista a Radio DeeJay.
La regia e la messa in scena sono solidamente operaie ma non prive di eccentrici guizzi sapientemente dosati, com’è ben visibile nella bellissima (e furba) scena in cui per la prima volta la violenza di Ivano esplode in tutta la sua brutalità, o meglio dovrebbe esplodere, perché il gesto viene sublimato in una sorta di musical, una danza in cui le grida si fanno musica e gli schiaffi carezze, lasciando i dettagli più cruenti ad un’immaginazione che non deve fare i conti i rating, le limitazioni d’età.
A proposito di musical è impossibile non citare la colonna sonora, fatta di brani da ogni epoca (si passa dalla Sera dei miracoli di Lucio Dalla a B.O.B degli Outkast) che con il loro straniante effetto anacronistico mandano un messaggio forte e chiaro: questa è una storia di ieri, ma che parla di oggi.
Ad eccellere in questo film è però il modo in cui viene trattato il tema della violenza sulle donne.
Finalmente anche in italia, sulla scia di numerosi successi americani, ultimi Barbie e Poor Things, arriva una pellicola politica, impegnata senza essere pedante, smaccatamente femminista e fiera di esserlo. E non importa che il tema sia trattato solo superficialmente e in maniera quasi semplicistica, perché l’obiettivo non è quello di sviscerare nel dettaglio le cause e i modi del patriarcato. Questo è un film che ha la bellissima pretesa di agire sul mondo, di plasmarlo, anche in minima parte, e per farlo deve essere visto, discusso, vissuto da quante più persone possibili.
È necessario sia visto da ragazzi, e per questo sono perdonate (e anzi richieste) le sue furbizie, ed è drammaticamente necessario sia visto anche da adulti.
Il cinema, come tutte le forme d’arte, è uno splendido cavallo di Troia capace di piantare il seme di un’idea nell’animo di un’individuo senza che questo nemmeno se ne renda conto, saltando a piè pari tutte le barriere della ragione.
In quest’ottica va esaltata la natura splendidamente commerciale e commerciabile di questo film (19 milioni di incasso alla quinta settimana nelle sale): il suo bianco e nero (non così bello ma che lo fa spiccare nella miriade di inutili pellicole italiane che escono ogni anno nelle nostre sale), i suoi volti noti (sono da citare Fanelli, Marchioni, Colangeli), la sua trama semplice, i suoi personaggi amabili, la sua messa in scena edulcorata.
Non si è voluto rivelare troppo della trama per permettere ai lettori di gustarsi come si deve questo film in cui si ride e si piange, si riflette e si rimane con il fiato sospeso. Insomma: ci si diverte.
Questo è un film da recuperare.