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Armonia e Caos

Aggiornamento: 23 mag 2023

Marley Gede 3B LL


"Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella che danza"


"C’è qualcosa nell’arte, come nella natura del resto, che ci rassicura, e qualcosa che invece ci tormenta, ci turba. Due sentimenti eterni in perenne lotta, la ricerca dell’ordine e il fascino del caos: dentro questa lotta abita l’uomo, e ci siamo noi, tutti, ordine e disordine. Cerchiamo regole, forme, canoni, ma non cogliamo mai il reale funzionamento del mondo, è per gli uomini un eterno mistero… L’incapacità di risolvere questo mistero ci terrorizza, ci costringe a oscillare tra la ricerca di un’armonia impossibile e l’abbandono al caos".

-Friedrich Nietzsche-


L’esistenza è la rappresentazione di tale oscillazione, e sarebbe errato credere nella presenza di uno solo dei due elementi. La vita non è statica e razionale, come sosteneva Socrate, ma è imprevedibile e in continua evoluzione: impossibile sarebbe attribuire una determinata logica all’esistenza, noi scorriamo con essa divenendone un tutt’uno. Come un fiume che, partendo da un lago tranquillo, attraversa le rapide più impetuose per poi sfociare nella vastità del mare, così l’uomo si trova a vivere momenti di pace e serenità alternati a momenti di difficoltà e caos.

L’essere umano infatti è soggetto al divenire e muta costantemente nell’eterno scorrere della realtà. Euripide, sostenendo la negatività del caos, non coglie il reale funzionamento dell’esistenza, perché è importante che questi due elementi, in antitesi fra loro, non smettano mai di lottare, ed è essenziale che nessuno domini sull’altro.

Le favole che ci raccontano da bambini, dove tutti vivono felici e contenti, sono menzogne. La vita non può essere solo armonia. Essa possiede anche un’indole tragica, persino aggressiva nei confronti di chi la vive; tuttavia il caos esistenziale è ciò che ci permette di non essere deboli, di non essere individui molli come burro al sole, perché, se vivessimo in un’armonia perenne, ad un misero taglietto con la carta ci contorceremmo dal dolore e piangeremmo lacrime amare come foglie di radicchio.

Nessuno vuole vivere nella sofferenza, ma il dolore strazia e forgia allo stesso tempo e bisogna cogliere le opportunità dietro a ogni esperienza negativa.

Per cui, quando le nostre vite sono caratterizzate da peripezie contorte e aggrovigliate, bisognerebbe cercare di preservare una predisposizione che ci consenta di capire che è il caos che ci circonda a rendere possibile la quiete e l’armonia a cui tanto ambiamo e che non esisterebbe senza il disordine che tanto detestiamo, perché senza il caos, la pace prenderebbe le sembianze di noia, rendendo la vita priva di significato.

Nietzsche sosteneva che è necessario abbracciare tutte le difficoltà, presupposto per una vita completa e appagante.

Per cui, in primo luogo, è essenziale accettarle, perché prima avverrà l’accettazione, prima si riuscirà a uscirne. Il dolore è un gran maestro e permette di elevarti a una condizione diversa. Inutile è crogiolarsi nel vittimismo e incolpare il destino per la cattiveria immeritata, meglio è sfruttare le difficoltà per risollevarsi e poter diventare individui migliori.

Bisogna perciò comprendere che la forza per superare le avversità si trova superando le avversità stesse; non ci si dovrebbe, quindi, nascondere o scappare da esse, perché in questa maniera delle matasse indistricabili rimarranno solamente matasse indistricabili, quando invece potrebbero diventare delle coperte calde capaci di proteggerci dalle gelide intemperie esistenziali.

Si può arrivare dunque alla seguente conclusione: il caos è ciò che alimenta e produce felicità, gioia, spensieratezza, e per questo noi sbagliamo a schifarlo; invece, anche se pare folle, dovremmo mostrargli gratitudine, perché esso garantisce il fatto di poter vivere e non semplicemente di esistere.


Molte culture, tra cui quella balinese, alla quale appartengo per metà, nutrono un profondo rispetto anche verso le forze del male, perché l’equilibrio del mondo si regge proprio sul confronto degli opposti.

A Bali si può respirare spiritualità ad ogni angolo, tutti i giorni vengono preparate numerose offerte, vere e proprie opere d’arte in miniatura, per gli dei, in segno di gratitudine, ma anche per i demoni per placarli o ingraziarseli. Le forze demoniache necessitano di essere debitamente considerate così come quelle divine, perché esistono entrambe all’interno della dimensione umana ed esercitano il proprio potere sull’interiorità di ciascun individuo.

Nella danza Barong viene portata in scena l’eterna lotta tra bene e male. Questa lotta non avrà nessun vincitore, perché per i balinesi non è possibile eliminare definitivamente il male dall’esistenza ed entrambi gli elementi sono necessari per mantenere il mondo in equilibrio.

Gli stessi dei sono costantemente in bilico tra impulsi creativi e distruttivi, oscillando tra creazione e caos. Shiva, il dio della distruzione e della morte, è una delle divinità più amate e rispettate. Egli ci insegna l’importanza di distruggere per consentire alla vita di rigenerarsi. La sua distruzione è un atto creativo, è come un artigiano che fonde, cioè distrugge, vecchi pezzi di metallo durante il processo di creazione di una bellissima opera d’arte.


Vorrei chiudere questa mia riflessione col pensiero di Eraclito, il filosofo del divenire. La sua concezione di Panta Rei, per cui senza mutamento niente potrebbe esistere, rappresenta la luce in fondo al tunnel quando ci troviamo nelle tempeste della vita.

Se il divenire è l’essenza del cosmo e tutto scorre, anche i problemi, gli ostacoli e la sofferenza sono destinati a svanire e il buio lascia il posto a momenti in cui brilla un sole abbagliante.





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